PNL e Problem Solving

 PNL e Problem Solving

Un’altra strategia, che deve saper applicare l’educatore all’interno della classe, è quella della PNL e il problem solving, ovvero la metodologia per affrontare un problema. Risulta essere una delle tecniche più delicate perché se ancorate e installate con successo nei bambini, può dare risultati straordinari, creando degli esseri umani in grado di riconoscere una difficoltà e affrontarla con abilità e destrezza.
Il problem solving permette di affrontare i motivi del proprio disagio, o di quello altrui, con un approccio metodico ed adeguato che aiuta a:
    1. definire con la massima precisione il problema, le sue conseguenze, analizzare cosa è stato già fatto per cercare di fargli fronte;
    1. valutare la situazione, le condizioni che influiscono su di essa, i vincoli e le potenzialità che esprime, quali sarebbero gli sviluppi più auspicabili;
    1. sviluppare ipotesi di comportamento per affrontare le difficoltà in oggetto;
    1. potenziare le capacità di prendere una decisione e di perseguire le scelte effettuate;
    1. verificare se i comportamenti che si mettono in atto sono effettivamente efficaci.
Thomas Gordon propone delle metodologie utili, sia per impostare una efficace relazione tra insegnante e allievo e tra allievi stessi, sia per gestire con sicurezza un problema o un conflitto che si viene a creare tra le parti.
I concetti chiave per il metodo Gordon, che viene fortemente sostenuto dalla PNL, sono due: l’ascolto attivo e il messaggio-io.
Per capire quando usare l’uno o l’altro metodo, l’insegnante dovrebbe immaginare di costruire un rettangolo, chiamato fenêtre, e porre i comportamenti accettabili in alto e quelli inaccettabili in basso. Tale soglia non è rigida, ma varia a seconda del tempo, del luogo e delle condizioni psicofisiche dell’insegnante.
Un comportamento accettabile, per esempio, in certe situazioni (chiacchiericcio dei ragazzi all’inizio mattinata) non lo è in altre (fine della giornata in cui tutti sono stanchi). Ci sono quindi comportamenti che l’insegnante accetta perché adeguati (collaborare, studiare, discutere..); altri che accetta perché non disturbano (isolarsi, distrarsi..); altri che non accetta perché impediscono un lavoro sereno (alzarsi in continuazione, picchiare i compagni, parlare durante le spiegazioni).
L’insegnante si dovrà chiedere: Di chi è il problema?
Se il problema è dell’alunno, si interverrà usando l’ascolto attivo; se invece è un problema dell’insegnante, interverrà con il messaggio-io.
Quando gli alunni hanno un problema, di frequente gli insegnanti si intromettono cercando di aiutarli con dei buoni consigli, con dei suggerimenti tratti dalla loro stessa esperienza o invitandoli a riconoscere la realtà dei fatti e attenersi ad essa. Nonostante le buoni intenzioni, spesso questi tentativi creano più problemi di quanti ne risolvano o finiscono per bloccare la voglia di comunicare nel bambino.
Per non incorrere nel pericolo di reagire malamente, usando delle barriere che comunicano la non accettazione del problema dell’alunno (comandare, ammonire, criticare indagare, consolare, minimizzare…), Gordon consiglia la tecnica dell’ascolto attivo. Ascoltare una persona, infatti, aiuta a liberarla da ciò che la opprime facendole inoltre capire che è accettata con tutti i suoi problemi.
L’ascolto attivo prevede quattro momenti:
    1. l’ascolto passivo: permette all’alunno di esporre, senza essere interrotto, i propri problemi (prestare attenzione concreta e totale al bambino);
    1. messaggi d’accoglienza: informano il bambino che l’insegnante lo segue e lo ascolta, possono essere non verbali (costante contatto con gli occhi, un cenno con la testa, un sorriso..) o verbale (“ti ascolto”, “sto cercando di capirti”)
    1. inviti calorosi: incoraggiano il soggetto a continuare il discorso, ad approfondire quanto sta dicendo (“vuoi dirmi qualcosa di più?”, “ continua pure!”);
    1. ascolto attivo: l’insegnate riflette il messaggio del bambino, recependo solamente senza emettere messaggi personali o giudizi.
Questo metodo, oltre a lasciare all’alunno la piena gestione dei suoi problemi, evita fraintendimenti ed incomprensioni.
Quando, invece, l’insegnante ha di fronte un alunno che con il suo comportamento impedisce un lavoro tranquillo in classe, dovrà applicare, secondo Gordon, il metodo messaggio-io. Con questo metodo, l’insegnante mette a confronto i propri sentimenti e bisogni con il comportamento inaccettato dell’alunno, esprime cioè cosa prova quando il bambino compie un’azione che può provocare determinati effetti. I messaggi-io, a differenza dei messaggi-tu (“perché continui a disturbare”, “sei sempre disordinato”) esprimono un sentimento di chi parla, senza comunicare valutazioni sull’alunno che compie l’azione, ponendolo di fronte agli effetti del suo atto e ai sentimenti che provoca negli altri.
Il metodo messaggio-io consta di tre momenti:
    • descrizione senza giudizio;
    • effetto tangibile e concreto;
    • reazione agli effetti.
L’insegnante non userà più, quindi, “tu sei…” ma “io sento…”.
Il bambino sentirà che gli comunica il suo vissuto personale con autenticità ed onestà, senza assumere atteggiamenti di difesa.
Se Gordon indirizza il suo lavoro all’insegnante e al cambiamento del suo metodo rispetto ai bambini, Linda Lloyd propone delle strategie rivolte a migliorare l’atteggiamento con il quale il bambino si accosta al problema.
Alla base di qualsiasi tecnica c’è il desiderio di insegnare loro che il problema può essere un’occasione per migliorarsi e confrontarsi con altri punti di vista.
Attraverso semplici giochi ed esercizi, il bambino lentamente si abitua ad un nuovo comportamento basato su un atteggiamento essenzialmente positivo: se il soggetto costantemente ripete il comportamento, a lungo andare diventa un programma mentale che viene messo in atto automaticamente.
Tra i giochi, ad esempio, uno che risulta particolarmente idoneo per sviluppare l’autocontrollo e l’autogestione è quello di costruire una scatola all’interno della quale i bambini, idealmente, vi inseriscono le loro problematiche giornaliere, invitandoli a scindere tra il problema e lo stato d’animo che esso genera. L’insegnante, attraverso il riconoscimento delle emozioni negative e l’accettazione di esse, aiuta i bambini a modificare la situazione emotiva, e perciò a vedere il problema da un altro punto di vista.
Un ulteriore esercizio consiste nella realizzazione di due disegni, uno rappresentante un panorama malinconico, l’altro festoso e sereno.
L’utilizzo dei colori sarà, sicuramente, il tratto caratterizzante dei disegni; l’insegnante, per stimolare anche nei bambini più piccoli, la predisposizione al cambiamento, li invita ad intervenire sui colori, modificandone i toni: il panorama malinconico, se inizia a tingersi di colori vivaci, può assumere un aspetto diverso.
Creare nel bambino delle immagini visive efficaci per dimostrare la possibilità di incidere sul problema semplicemente modificandone le tonalità, risulta essere la via vincente.
La PNL lavora sull’atteggiamento, cercando però di individuare le emozioni che lo provocano; solo così facendo si può essere consapevoli di se stessi e in grado di gestire le grandi e piccole difficoltà.