L’approccio disposizionale dell’employability

L’approccio disposizionale dell’employability

Sulla base della letteratura scientifica e delle evidenze empiriche emerse rispetto all’employability, Fugate e Kinicki già nel 2004 portavano avanti l’idea che questa potesse essere spiegata solo a partire dall’esplicazione di un costrutto multidimensionale di natura psicosociale.

Ad oggi da parte degli stessi autori viene alimentata l’idea che l’employability sia un costrutto di natura disposizionale.

Tale approccio nasce dall’esigenza di studiare il modo in cui le persone risultano predisposte ad affrontare l’attuale mondo del lavoro governato dall’incertezza, da continui stravolgimenti e sviluppi mutevoli e veloci.

La velocità e l’intensità dei cambiamenti del lavoro è sintomatica della presenza di alti livelli di incertezza, alla luce di questo le organizzazioni hanno modificato i propri processi, le strutture e le strategie per essere il più possibile flessibili. Si è sviluppata negli anni una maggiore attenzione nei confronti di una prospettiva disposizionale che studi l’adattabilità del lavoratore anche in riferimento al suo sviluppo di carriera (Fugate, Kinicki, 2008).

Gli studi sull’employability si sono spesso concentrati in termini di person–job fit sostenendo che un buon lavoro è raggiungibile necessariamente se si posseggono conoscenze, abilità e competenze (Wright e Multon, 1995). Questo assunto appare non sufficientemente rappresentativo a fronte di uno scenario di lavoro turbolento, mutevole e incerto (Fugate, Kinicki, 2008).

L’articolo a cui faremo riferimento è stato scritto da Fugate e Kinicki nel 2008 e si intitola “A dispositional approach toemployability: Development of a measure and test of implications for employee reactions to organizational change”. Il paper si è posto l’obiettivo di costruire e validare una misura disposizionale dell’employability (DME) per analizzarne i punteggi in rapporto con le reazioni ai cambiamenti organizzativi.

Il recente contributo di Fugate e Kinicki risulta prezioso ai fini della quantificazione del costrutto employability e apre nuovi orizzonti per gli odierni lavori di ricerca in merito.

Per molto tempo ricercatori e tecnici hanno ammesso l’importanza di possedere abilità che siano capaci di rispondere ai cambiamenti organizzativi e all’ambiente di lavoro per sopravvivervi (Bretz e Judge, 1994). E’ stata ammessa inoltre l’importanza di possedere capacità di iniziativa e proattività (Frese e Fay, 2001; Siebert, Kraimer, e Crant, 2001), possedere una lettura continua dei cambiamenti adattandosi alla mutevolezza della domanda.

I lavoratori, non solo si impegnano ad andare incontro a nuove domande o a mettere maggior impegno nei loro lavori ma essi creano proattività per la realizzazione di nuove opportunità.

Queste competenze si basano su un adattamento attivo e sulla proattività al lavoro (Crant, 2000). Ashford e Taylor (1990) descrivono l’adattabilità al lavoro partendo da: adattabilità attiva (ottimismo), schemi adattivi (o componenti cognitive) e l’abilità di imparare e incontrare i cambiamenti delle domande di lavoro. Quello che ci interessa in questa sede è descrivere le dimensioni che compongono l’employability e usufruire della scala di valutazione del costrutto per il nostro lavoro di ricerca.

Inizialmente Fugate e Kinicki testarono sei dimensioni e i relativi item che descrivessero il costrutto employability a partire da un approccio disposizionale.

Le dimensioni in questione relative al DME erano inizialmente:

1) openness to changes at work,
2) work and career resilience,
3) optimism
4) work and career proactivity,
5) career motivation,
6) work identity. 

A seguito di analisi fattoriale esplorativa e rotazione promax sottolinearono come le dimensioni del DME fossero correlate tra loro, quindi per stabilire la validità discriminante fu indagata l’indipendenza delle dimensioni che spiegavano l’employability disposizionale. Le correlazioni tra i costrutti sottolineano l’indipendenza teorica delle cinque componenti latenti del costrutto (Fig 2).


Figura 2. Correlazioni tra le 5 dimensioni del DME (Immagine tratta da Fugate e Kinicki 2008)

A seguito di scree test emerse che l’ottimismo e la career resilience erano dimensioni facilmente unibili in un solo fattore in grado di spiegare l’employabiliy,  Fu così che i sei fattori inizialmente proposti vennero ridotti a cinque e l’ottimismo (e relativi item) venne incorporato nel costrutto work and career resilience. A seguito di analisi fattoriale confermatoria, Fugate e Kinicki indagarono come le cinque dimensioni erano tra loro correlate.

Di seguito è possibile osservare in maniera completa i risultati del DME successivi ad analisi confermatoria. Si evince che sia le dimensioni dell’employability che gli item mostrano buoni indici di correlazione sottolineando la qualità dello strumento DME.

 

 

Lavoro flessibile e job insecurity: l’incertezza lavorativa avanza alla luce di un fenomeno eterogeneo – © Dr. Pierluigi Lido