Il mobbizzato

Il mobbizzato 

Il tratto tipico del mobbizzato è l’isolamento.

Dalle parole che gli autori di ricerche sul mobbing riservano alla vittima di questo fenomeno risulta il quadro di qualcuno che si trova letteralmente con le spalle al muro, spesso senza sapere nemmeno perché. In effetti, molte persone colpite si chiedono ancora oggi cosa mai avessero fatto di male, cosa fosse o sia così sbagliato nel loro comportamento da provocare questo odio degli altri verso di loro.

E’ difficile poter stilare una casistica di vittime, di trovare cioè la persona caratterialmente più propensa ad essere mobbizzata. In effetti, dal punto in cui stanno oggi le ricerche sul mobbing, si può affermare che la vittima potrebbe essere chiunque. Tuttavia possiamo affermare che ci sono situazioni in cui è più probabile venire mobbizzati. Pensiamo ad una persona in qualche modo diversa dagli altri: una donna in un ufficio di uomini o viceversa, una persona più qualificata, più giovane, più brava nel lavoro, oppure il classico caso della persona nuova, magari più qualificata e più giovane, addirittura assunta da subito come capufficio: senz´altro le possibilità di subire mobbing per lui sono sicuramente maggiori.

Qualunque sia la sua posizione o il suo carattere, la vittima generalmente in qualche modo reagisce al mobbing che gli viene perpetrato: le analisi statistiche effettuate da Ege nel 1999, dimostrano che un uomo presenta reazioni ad una situazione di crisi diverse da quelle di una donna, per fattori riconducibili al suo patrimonio biologico.

Una donna in crisi reagisce aumentando la sua attività rispetto all’uomo, che al contrario tende a diminuirla. I dati infatti mostrano che la donna in situazioni critiche tende a parlare più in fretta e a fare più gesti e movimenti: si comporta quindi più nervosamente e tende a essere più attiva sul lavoro, con la speranza forse di riuscire in questo modo a giustificarsi.

L´uomo invece tende a reagire in modo opposto: in crisi diminuisce notevolmente la sua attività gestuale e verbale e, invece di dimostrare maggiore efficienza, tende a limitarsi sia nei rapporti interpersonali, sia nello svolgimento del suo lavoro.

Queste differenze sonosignificative come testimonianza di due modi di essere e di percepire la realtà, e per questo risultano sicuramente interessanti; tuttavia, ai fini del mobbing stesso, va notato che nessuna delle due reazioni ottiene un risultato.

In entrambi i casi infatti è la reazione stessa della vittima, in qualunque modo essa si configuri, a dare al mobber motivo per continuare la sua azione.

 

 

 

“Il lavoro che (non) fa per te”. Il disagio nelle relazioni lavorative: un’indagine psicosociale sul territorio di Venezia –  © Maurizio Casanova