Il Mobbing: il punto di vista dell’avvocato

Il Mobbing: il punto di vista dell’avvocato

Quanto descritto nel paragrafo precedente mette in risalto come sia necessaria la cooperazione di più parti affinché la persona vessata sul luogo di lavoro possa ricevere, qualora fosse possibile, un risarcimento in termini economici in riferimento a quanto subito sul luogo di lavoro.

Le persone che si rivolgono allo sportello antimobbing di Venezia Mestre fruiscono di questa cooperazione fra psicologo, medico legale e avvocato in tutte le fasi del processo che portano il lavoratore a richiedere aiuto.

Ad affiancare lo psicologo De Felice è presente l’avvocato Azzarini, che ha preso parte a questo lavoro fornendo informazioni utili riguardanti la parte legislativa che compete il mobbing, delineando quali sono le fasi da seguire e le leggi cui attenersi con il fine di intraprendere un’azione legale.

Come sostiene Azzarini, è di fondamentale importanza che ci sia il supporto di queste tre figure, poiché il giudizio di uno è già un valido punto di partenza per parlare di una possibile azione legale: qualora, ad esempio, lo psicologo dovesse ritenere che la persona con cui ha avuto un colloquio preliminare non soffra effettivamente di mobbing, questa non verrà invitata ad andare dall’avvocato per procedere secondo l’iter usuale.

È cruciale saper riconoscere un vero caso di mobbing, poiché i casi di mobbing puro sono molto rari, generalmente si affrontano casi di demansionamento.

Secondo Azzarini il mobbing è spesso definibile come una conseguenza legata alla situazione personale della vittima, dipende dalla sua modo di essere, solitamente le persone vessate sono quelle con carattere debole, infatti, chi vessa difficilmente attacca persone forti.

Sempre secondo l’avvocato, tutti i lavoratori in qualche modo sono vessati, generalmente si rivolgono a lui persone che subiscono forme diverse di mobbing, al limite della sopportazione fisica e psicologica, ma arrivano anche persone che hanno anche solo dei sospetti iniziali.

Il mobbing è un fenomeno in un certo senso inclusivo, Azzarini ha osservato come in realtà non sia così noto nel mondo del lavoro, è quasi sempre “pubblicizzato” fra le persone che l’hanno subito e che ne riferiscono ad altri le conseguenze e come poter ricevere aiuto.

Una persona vessata attraversa un iter complesso dal momento in cui decide di richiedere aiuto ad un centro specializzato che affronta problematiche legate al mobbing.

Per poter affrontare un’azione legale che abbia riscontri positivi per il lavoratore con problemi sul luogo di lavoro, sono obbligatorie delle certificazioni e delle prove a  sostegno della violenza subita.

Le certificazioni fungono come prova principale: l’avvocato ha bisogno della certificazione del medico psichiatra e quella del medico legale, che stabiliscono in quale misura la persona ha subito un danno biologico e psichico.

Una volta ottenute le certificazioni che dimostrano che si tratta di un caso di mobbing, l’avvocato decide se procedere o meno esponendo il caso presso le competenti sedi giudiziarie.

Oltre alle certificazioni, per poter affrontare una causa legale sono assolutamente necessarie le testimonianze da parte dei colleghi che hanno assistito agli atti vessatori subiti dal mobbizzato.

Quasi mai le testimonianze sono totalmente limpide, poiché gli spettatori del mobbing vengono intimiditi dall’azienda, quindi raramente si ottengono testimonianze del tutto veritiere e approfondite da parte delle persone; per questo motivo si richiede ai vessati, quando possibile, di far testimoniare i colleghi che non fanno più parte dell’azienda. Il mobbing per poter essere certificato deve avvenire da almeno sei mesi e con una frequenza costante durante tutto il periodo.

Il fenomeno non è considerato un reato, pertanto il codice penale non contiene una norma che lo riguardi strettamente; può però essere citato l’articolo 2087 del codice penale che sancisce che:

 

L imprenditore è tenuto ad adottare nell esercizio dell impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.”

 

Possono essere inoltre citati l’art. 81  in merito alla sicurezza sul lavoro e il 2043 del codice penale che sancisce che:

 

“Qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”

 

Attualmente il mobbing in Italia è ancora in una fase evolutiva, per il momento solamente l’INAIL riconosce il mobbing come malattia e reato.

Un’azione legale per mobbing può durare da un anno e mezzo fino a tre anni; per quanto riguarda il territorio di Venezia in poco meno di un anno e mezzo si ha un esito. Durante e dopo l’azione legale il lavoratore vessato solitamente continua a lavorare nell’azienda, non ci sono peggioramenti o ripercussioni, questo anche perché l’aziendadavanti ad un’azione legale si spaventa, quindi non c’è accanimento nei confronti della persona; nonostante questo, il lavoratore può anche decidere di dimettersi perché il rapporto con l’azienda è diventato insostenibile.

L’azienda si difende da un’accusa di mobbing sostenendo che la persona è mentalmente instabile e che i problemi riscontrati sul lavoro sono in realtà frutto di azioni perpetrate oltre la sede lavorativa; nello specifico, l’azienda per difendersi imputa le cause di un rapporto disagiato al lavoratore, definendolo incapace di avere relazioni sane con i propri colleghi.

Secondo Azzarini gli atti vessatori sul posto di lavoro mescolano goliardia e cattiveria, sono caratterizzati da una componente di sadismo riscontrabile in chi commette atti volti a danneggiare il lavoratore.

Il mobbing è una forma di aggressione dove il lavoratore considerabile “patologico” non è unicamente il mobber che commette l’atto violento: l’avvocato sostiene che in realtà la patologia non è da associarsi unicamente a colui che commette l’atto, bensì talvolta è riscontrabile anche nel dipendente mobbizzato.

“È un incontro di due disagi” perché, come ci tiene a sottolineare l’avvocato, può capitare che chi richiede aiuto ad enti che si preoccupano di sostenere le persone vittime del mobbing, sia una persona con effettivi problemi personali che vengono trasportati fino alla sede lavorativa, così facendo, la sembianza di quello che può sembrare un attacco alla persona in realtà è solo una percezione che porta a conclusioni gravose da parte della presunta vittima.

A tal fine, gli psicologi ricoprono un ruolo importante perché per primi possono cogliere i segnali di un malessere generato dallo stress causato dal mobbing; viceversa, possono determinare se tale malessere è da attribuire unicamente a fatti legati alla persona e che non per forza sono da riferirsi a problematiche sorte sul luogo di lavoro. L’avvocato e lo psicologo pertanto collaborano affinché vengano presi in considerazione esclusivamente quei casi che hanno l’effettiva possibilità di giungere davanti a un tribunale.

Lo psicologo deve essere in grado di cogliere una sequenzialità nelle fasi del processo che portano al mobbing, poiché esso è un fenomeno in continua crescita.

L’avvocato Azzarini afferma che il mobbing è un fenomeno sempre più frequente poiché è avvenuto un cambiamento radicale nella società che, conforme all’odierno modello americano, spinge le performance individuali al massimo, costringendo la persona a subire gravi forme di stress che debilitano la persona a livello psicofisico. Secondo l’avvocato è necessario curare meglio l’approccio dei giovani lavoratori al mondo del lavoro, poiché spesso ciò che porta ai danni causati dal mobbing e al disagio nelle relazioni lavorative è quanto può essere associato ad un disturbo di adattamento della persona.

 

 

 

“Il lavoro che (non) fa per te”. Il disagio nelle relazioni lavorative: un’indagine psicosociale sul territorio di Venezia –  © Maurizio Casanova