Emozioni e processi decisionali

Emozioni e processi decisionali

Solo recentemente la ricerca ha messo in evidenza l’importanza del ruolo delle emozioni nel processo di scelta.  Epstein (1994), sostiene che l’adattamento all’ambiente avvenga mediante due sistemi: uno razionale, l’altro esperenziale. Il primo è deliberativo, richiede molta energia e molto tempo, e comunica tramite rappresentazioni astratte. Questo, inoltre, è legato sopratutto alla corteccia, l’area più evoluta e giovane dell’encefalo, ed è di conseguenza capace di un altissimo livello di astrazione in un ottica progettuale anche di lungo termine. Il sistema esperenziale, invece, agisce in maniera automatica, rapida, senza sforzo ed è legato sopratutto all’amigdala e al talamo, strutture assai più antiche rispetto  alla corteccia. Sebbene i due sistemi lavorino parallelamente e s’influenzino reciprocamente, il sistema esperenziale è naturalmente portato a precedere quello razionale nell’elaborazione dell’informazione. Ovviamente l’automaticità e la velocità con cui questo sistema agisce ha delle importanti conseguenze nella presa di decisione. Le ricerche di Antonio Damasio (1994) hanno fornito un importante conferma a questa prospettiva.

Damasio ha dimostrato che i decisori codificano affettivamente le conseguenze di alternative come linee d’azione e che questi segnalatori somatici sono un importante input per la presa di decisioni. Damasio e collaboratori (Bechara et al., 1997), chiedevano a persone sane e a pazienti con lesioni della corteccia prefrontale, un area del cervello che gioca un ruolo critico nell’utilizzare i feedback emotivi e la pianificazione dei comportamenti, di partecipare ad un gioco in cui l’obiettivo era quello di guadagnare il più possibile. In questo gioco i partecipanti  dovevano girare delle carte da quattro mazzi. Su ogni carta era riportato il valore della perdita o della vincita. Mentre due mazzi di carte offrivano alte vincite ed alte perdite e alla lunga producevano un esito negativo, gli altri due mazzi portavano a vincite e perdite più contenute, però a lungo andare l’esito era positivo. Non conoscendo l’esito delle carte a priori, entrambi i gruppi di partecipanti cominciavano pescando a caso da tutti i mazzi. Dopo poche selezioni le persone sane si concentravano sui mazzi vantaggiosi (basse vincite e basse perdite) evitando dunque quelli che offrivano vincite ingenti ma anche perdite molto alte. Anche i pazienti con lesione prefrontale mostravano una certa riluttanza a scegliere i mazzi svantaggiosi. Tuttavia a differenza delle persone sane i pazienti tornavano più rapidamente a sfidare la sorte estraendo delle carte dai due mazzi svantaggiosi, dopo che avevano subito una pesante perdita. Non sorprendentemente, alla fine del gioco, i pazienti guadagnavano sensibilmente meno rispetto alle persone sane. Quanto hanno trovato Damasio e collaboratori (1994; Bechara et al., 1997) è particolarmente interessante se si considera che la corteccia prefrontale è l’area della consapevolezza delle emozioni e della pianificazione. Di conseguenza, quando quest’area del cervello è lesionata non è possibile anticipare la paura e l’ansia che coloro che sono sani associano alle alternative rischiose. A conferma di questi risultati Damasio (1994) porta l’esempio degli psicopatici antisociali la cui insensibilità alle conseguenze delle loro azioni viene spesso attribuita ad un deficit emozionale. Tuttavia la stessa incapacità di anticipare emozioni che nello studio di Damasio è svantaggiosa per i pazienti cerebro lesi potrebbe rilevarsi un vantaggio in altri contesti. Un esempio, è la myopic loss avversion (Benartzi e Thaler,1995) dove l’investitore medio preferisce mettere i suoi risparmi in bond sicuri piuttosto che investire in equity che mediamente offrono un maggior ritorno nel lungo termine.

In aggiunta gli studiosi di psicologia della decisione hanno messo in evidenza come un approccio consequezialista, cioè puramente basato sulla valutazione di conseguenze di possibili esiti tra loro alternativi, non possa dare spiegazione ad un gran numero di fenomeni (Loewenstein, Hsee, Weber, Welch, 2001). Per esempio, in uno studio di Epstein (1994), i partecipanti dovevano leggere una serie di vignette che descrivevano una storia che parlava di tre protagonisti che incontravano un ricco benefattore, il quale avrebbe dato loro una banconota da $100 al patto che ad ognuno di loro uscisse testa al primo lancio di una moneta. I tre protagonisti perdevano perchè a Smith, il terzo dei tre, era uscita croce. I partecipanti dovevano valutare lo stato d’animo di ognuno di questi e rispondere ad una domanda che chiedeva se i due cui era uscita testa avrebbero dovuto invitarlo ad unirsi a loro ad una vacanza a Las Vegas. La maggioranza vedeva Smith come un perdente e affermava che gli altri due avrebbero fatto bene a non invitarlo con loro. D’altra parte i partecipanti erano ben consci del fatto che il loro comportamento fosse irrazionale visto che il lancio di una moneta è casuale e non può essere influenzato da chi sta giocando.

Anche il chickening out offre una valida dimostrazione di come una paura crescente possa determinare una decisione. Welch (1999) offriva a degli studenti l’opportunità di guadagnare $1 raccontando una barzelletta in aula davanti a tutti. Sia a quelli che avevano accettato che a quelli che avevano declinato l’offerta era data l’opportunità di cambiare la propria decisione poco prima del momento topico. Come ipotizzato da Welch una maggioranza di quelli che avevano accettato di raccontare la barzelletta davanti a tutti cambiarono idea.

Mellers, Schwartz e Ritov (1999) hanno dimostrato come i decisori preferiscano le scommesse che offrono loro il massimo piacere possibile e quelle che minimizzino il massimo dispiacere possibile.

Slovic, Finucane, Peters e MacGregor (2002) hanno proposto un euristica come aspetto centrale del sistema esperenziale: l’euristica dell’affetto. Questa euristica ci indirizza in modo automatico ed inconsapevole verso una scelta marcando le immagini nella nostra mente con intensità diversa. Per questi motivi assume i tratti di un autentica scorciatoia mentale. Slovic e collaboratori mostrano come l’euristica dell’affetto sia strettamente collegata alla nostra percezione del rischio e quindi anche alle nostre decisioni. Alhakami e Slovic (1994) hanno dimostrato ad esempio che la valutazione del rischio legato ad una determinata attività o tecnologia non dipende solo da ciò che si pensa ma anche dalle emozioni che questa induce. Tanto più una cosa è piacevole tanto meno ci sembrerà rischiosa. Questa correlazione negativa caratterizza allo stesso modo esperti e non esperti (Slovic, MacGregor, Malforms, Purchase, working paper; Ganzach, 2001). Slovic, Moahan e MacGragor (2000) hanno dimostrato anche come gli stessi dati possano indurre a decisioni differenti a seconda che siano presentati in termini percentuali o di frequenze. Ad esempio, gli psichiatri sono risultati più propensi a firmare le dimissioni ad un paziente se l’informazione a loro disposizione è che il 10% dei pazienti con lo stesso disturbo commette atti violenti 6 mesi dopo essere stati dimessi, rispetto quando viene loro detto che 10 pazienti su 100 con lo stesso disturbo del paziente commettono atti violenti nei 6 mesi dopo essere stati dimessi. In fine, Slovic, Finucane, Peters e MacGregor (2002) forniscono una curiosa dimostrazione di come le emozioni possano prevalere sulla ragione in un loro esperimento che dimostra che le persone valutano più positivamente una scommessa che offre la possibilità di vincere $9 se è anche presente la possibilità di perdere 5 centesimi piuttosto che quando è presentata la sola vincita di $9.

La  mole di prove empiriche riportate in questa sezione della tesi dimostrano ampiamente come il decisore sia ben lontano dall’agire in modo conforme col comportamento previsto per l’homo economicus e teorizzato dai modelli normativi.

D’altra parte abbiamo anche visto  in che modo il ruolo delle emozioni è fondamentale nel processo di presa delle decisioni e in alcuni casi addirittura vantaggioso.

Nella prossimo capitolo verrà descritto un nuovo campo di ricerca che si intreccia strettamente con gli ultimi sviluppi della ricerca sulle emozioni e i processi decisionali. Si tratta dell’ipotesi dell’ignoranza comparativa.

© L’IPOTESI DELLA IGNORANZA COMPARATIVA NELLA VALUTAZIONE DI ALTERNATIVE CERTE E RISCHIOSE – Dott. Andrea Righi