Definizioni e concezioni di consulenza e counseling

Definizioni e concezioni di consulenza e counseling

 

In ambito organizzativo, se si prescinde dalla consulenza di tipo individuale (o alla persona), non sono molti i contributi della letteratura che fanno riferimento alla voce consulenza e consulenza individuale, molto più frequenti sono i contributi che si riferiscono al counseling (o counselling) nelle sue diverse accezioni e declinazioni. Nel tentativo di dare una definizione “iniziale” e provvisoria di consulenza, distinguendola artatamente dal counseling, ci siamo avvalsi di alcune osservazioni formulate a proposito della consulenza alla persona in ambito organizzativo, per poi volgere l’attenzione alla letteratura sul counseling e tentare una esplorazione panoramica del “campo”.
L’etimologia di consulenza ci fa risalire al verbo latino consulo, di cui ci sembra importante cogliere nel Dizionario Latino­Italiano del Calonghi oltre ai più conosciuti significati di consultarsi, riflettere, domandare un consiglio a qualcuno, il valore di aver cura, darsi pensiero, venire in aiuto a qualcuno. Dopo il riferimento etimologico, si potrebbe dare la definizione di Consulenza (ingl.Counseling, ted.Beratung, fr.Consultation) che fornisce Umberto Galimberti  nel Dizionario di Psicologia UTET.

 

Il Counseling viene così definito: “Forma di rapporto interpersonale in cui un individuo che ha un problema, ma non possiede le conoscenze e le capacità per risolverlo, si rivolge ad un altro individuo, il consulente, che, grazie alla propria esperienza e preparazione, è in grado di aiutarlo a trovare una soluzione“.

 

Parlando della consulenza centrata sul cliente nell’ambito delle strutture consultoriali diffuse sul territorio, Galimberti sostiene che “ questo intervento si distingue dalla psicoterapia sia perché si rivolge a persone considerate “normali”, sia perché non si fa carico del problema, ma offre semplicemente un consiglio su come affrontarlo, lasciando al soggetto la piena responsabilità delle sue azioni successive”. Le altre tipologie di consulenza prese in esame sono la consulenza centrata sul collega, rivolta al personale sanitario, assistenziale o educativo che lavora con pazienti o con persone in difficoltà, e la consulenza centrata sull’organizzazione.

 

Guardando ai contributi più significativi sviluppati sulla consulenza alla persona in ambito organizzativo, è importante citare il contributo di Schein (1989, 1992, 2001), secondo cui la funzione di consulenza si sostanzia nel cercare di migliorare determinate situazioni aziendali per mezzo di un processo che, in senso lato, può essere definito “aiutare a…” e si fonda sulla consapevolezza da parte del consulente che svolgere il proprio ruolo significa essenzialmente svolgere un “intervento coadiuvante”.

 

Schein lega strettamente la sua concezione di consulenza ai costrutti di processo e di relazione di aiuto, mettendo a punto e sistematizzando, in particolare, un modello di consulenza denominata “consulenza di processo” (vera e propria «filosofia dell’attività d’aiuto a persone, gruppi, organizzazioni e comunità»), distinta da altri modelli definiti “modello dell’acquisizione di informazioni o competenze (expertise)” e “modello medico­paziente” (più coerenti, questi ultimi, con concezioni della consulenza che si ispirano ad approcci meccanicisti o comportamentisti).

 

In sintesi, la consulenza di processo è presentata come «un insieme di attività, fornite dal consulente, che hanno lo scopo di aiutare il cliente a percepire, capire e agire sugli eventi che si verificano nel suo ambiente» ed è «il processo di consulenza stesso, quindi, ad aiutare il cliente a definire gli interventi diagnostici che consentiranno di impostare la corretta sequenza di passi risolutivi». Si tratta di una consulenza “generativa”, la cui premessa fondamentale è rappresentata dal fatto che il cliente “possiede”, dall’inizio e durante tutto il processo di consulenza, la responsabilità della osservazione e della “formulazione” attiva dei rimedi e che il consulente svolge il ruolo fondamentale di sostegno al cliente nell’affinamento delle sue capacità di identificazione e risoluzione dei problemi posti in consulenza senza mai “appropriarsene”, ma anzi incoraggiandolo ad assumersi la responsabilità finale della decisione operativa e delle azioni da intraprendere.

 

Il consulente si propone dunque come facilitatore (nell’accezione rogersiana), o meglio come io ausiliario, che accompagna il cliente nella rilettura della situazione di malessere della propria realtà, individuando le risorse e le capacità di cui può disporre. L’ambito di intervento del counseling si focalizza per:
    • lo spostamento del baricentro della relazione sul cliente­persona e sui suoi bisogni, a partire dall’ipotesi che l’individuo abbia in sé ampie possibilità di comprendere se stesso, di modificare il proprio concetto di sé e i propri atteggiamenti e di acquisire un comportamento autodiretto;
    • l’attenzione alla comunicazione verbale e non verbale;
    • il colloquio come strumento privilegiato; le predisposizioni che rendono il counselor capace di entrare in sintonia con il suo cliente. (ISFOL, 2006).

 

Il counseling nasce negli anni Cinquanta negli Stati Uniti e negli anni Settanta in Europa, in particolare nel Regno Unito (scritto “counselling”), come attività d’orientamento e strumento di supporto dei servizi sociali.  Uno dei suoi primi campi d’applicazione è stato il reinserimento dei reduci della seconda guerra mondiale nella società civile. Il termine si può tradurre in italiano approssimativamente con la parola “consulenza”.

 

L’etimo è latino e deriva dal verbo consulo, ossia “aver cura di, venire in aiuto di”.

 

La nascita del Counseling, come quella d’altri movimenti, riflette la struttura socioculturale, politica ed economica del periodo storico in cui prende origine e si sviluppa.

 

Se ne possono ricercare le radici alla fine del 1800, quando negli Stati Uniti partirono dei programmi d’orientamento e guida professionale come supporto ai giovani al termine della scuola elementare e superiore. Già nei primi anni del 1900 comparvero associazioni che avevano come scopo la guida nel percorso lavorativo e di studio. All’interno delle università e campus si trovavano infatti dei punti di riferimento per chi voleva essere guidato nella scelta della professione.

 

Nel 1952 nacque l’American Counseling Association sull’onda di un incredibile sviluppo del Counseling come servizio di consulenza ed educazione.

 

Negli anni ‘60 era in atto un cambiamento fondamentale: si stava passando da un modello centrato sulla malattia ad un modello orientato alla salute della persona. In seguito alla riorganizzazione territoriale dei servizi psichiatrici si cominciò a prendere in considerazione per la prima volta la prevenzione dei disturbi mentali da attuarsi appunto attraverso servizi di consulenza e d’educazione.

 

Negli anni ‘70 cominciò così a diffondersi la psicologia della salute alla cui base c’era una concezione positiva dell’essere umano.

 

In Europa il Counseling approdò negli anni 70, principalmente in Gran Bretagna, come servizio d’orientamento pedagogico e strumento di supporto nei servizi sociali e nel volontariato.

 

Furono create poi due importanti associazioni di riferimento, nel 1976 la British Association for Counseling (BAC), che nel 2000 si è trasformò  in BACP  British Association for Counseling and Psychoteraphy (Giannella, 2009, pag. 54) e nel 1994 la European Association for Counseling(EAC).

 

In Italia le origini del Counseling possono essere rintracciate nella storia dell’assistenza sociale, intorno agli anni ’20-30 del secolo scorso, quando furono istituite le prime scuole, esclusivamente femminili, per la preparazione di personale da destinare al sostegno dei lavoratori delle fabbriche.

 

Si era nel pieno del periodo fascista in cui il servizio sociale aveva il solo scopo di svolgere attività politico-sociali in linea con le esigenze dello stato.

 

Dopo il crollo del regime e la fine degli eventi bellici cominciarono a delinearsi le diverse tematiche d’intervento sociale sulla popolazione.

 

Il counseling, come lo intendiamo oggi, arrivò negli anni ’70 quando scuole, istituti e centri di formazione iniziarono a preparare validi professionisti con competenze di counselor che, tuttavia furono così definiti solo dagli anni ’90.

 

Nel 1993 si costituì in Italia la S.I.Co. Società Italiana di Counseling, con l’obiettivo di riunire in un’unica associazione i Counselor e le organizzazioni che si occuparono di Counseling.

 

Il movimento di pensiero che sottese il sorgere del counseling fu quello che proveniva da altre discipline, oltre alla psicologia, ovviamente, quali l’antropologia, la filosofia, la sociologia, la pedagogia che tutto insieme portò alla nascita di una diversa visione dell’essere nel mondo dell’uomo, in contrapposizione con la psicanalisi ritenuta troppo deterministica, centrata sulla patologia, e strutturata su una relazione troppo asimmetrica con i pazienti coinvolti in percorsi troppo lunghi, costosi e non sempre efficaci.

 

In quest’orizzonte di senso l’attenzione si sposta dalla patologia, e dalla sofferenza all’idea di salutogenesi fondata sulla prevenzione e non più sulla cura sul ben-essere, sulla salute mentale e non sulla malattia, il paziente diventa cliente, soggetto non più passivo, ma responsabile della propria vita, in grado di partecipare attivamente al processo d’aiuto che lo riguarda, trovando in sé stesso le risorse per risolvere i problemi.

 

Nasce l’approccio centrato sulla persona – cliente, grazie a Carl Rogers seguito da altri tipi d’approccio, quale quelli della Gestalt e quello Sistemico, tanto per citarne alcuni, che condividono con il primo l’attenzione centrata sulle potenzialità e le capacità, anziché sulla patologia, su risposte fornite in tempi più brevi e con costi inferiori, anche per chi non può permettersi percorsi lunghi e non sempre efficaci.

 

La rivoluzione Rogersiana, rispetto all’approccio della psicologia tradizionale, iniziò dallo spostare l’attenzione del lavoro psicoterapeutico dalla risoluzione del problema al facilitare l’emersione delle risorse interiori dell’individuo. Questo processo, oltre a generare crescita interiore, determina anche maggiore capacità di affrontare e gestire altre problematiche. Un’altra importante caratterista che contraddistinse il lavoro di C.Rogers fu lo spostare l’attenzione dagli aspetti intellettivi (la mente) a quelli emotivi (la percezione); oltre a ciò, diversamente dall’approccio Freudiano il passato passa in secondo piano rispetto al presente.

 

Nel Counseling lo psicoterapeuta lascia in parte il suo ruolo d’esperto inteso come qualche cosa che determina “up & down”, si pone verso il cliente avendo cura della comunicazione e della relazione, utilizza accoglienza e rispetto anziché formalità e freddezza.

 

C.Rogers ha sicuramente espresso nel proprio approccio ciò che egli era, una persona umana e sensibile, umile e capace, ben radicata sia nel proprio mondo percettivo sia in quello intellettivo. Sicuramente una figura interiormente libera, eppure pienamente responsabile del proprio apporto educativo all’umanità.

 

“ Se una persona si trova in difficoltà, il modo migliore di venirle in aiuto non è quello di dirle esplicitamente cosa fare, quanto piuttosto di aiutarla a comprendere la situazione e a gestire il problema facendole prendere, da sola e pienamente, le responsabilità delle proprie scelte e decisioni. Gli individui hanno in se stessi ampie risorse per auto-comprendersi e per modificare il loro concetto di sé “.  (Carl Rogers).