Cos’è il Personal Branding

Cos’è il Personal Branding

Se prendiamo la definizione di Wikipedia:

“L’espressione personal branding (mutuata dalla lingua inglese) indica la capacità di promuovere se stessi, al fine di essere gradito o comunque appetibile nei confronti di una comunità di consociati, con modalità simili a quanto avviene in campo economico, con i prodotti commerciali.  A differenza di altre discipline di miglioramento personale, il personal branding suggerisce di concentrarsi oltre che sul valore anche sulle modalità di promozione.”[1]

Secondo Luigi Centenaro e Tommaso Sorchiotti, i primi in Italia ad occuparsi di personal branding:

“Fare Personal Branding significa impostare una strategia per individuare o definire i tuoi punti di forza e comunicare in maniera efficace cosa sai fare, come lo sai fare e perché gli altri dovrebbero sceglierti”. [2]

In altre parole, la propria personalità in Rete può essere considerata come un brand e gestita come tale.

Non esiste una definizione univoca di Personal Branding, ma è possibile definire tale fenomeno come la capacità, di ognuno di noi, di fare marketing di sé stesso, in un contesto dove con la parola Brand non si intende più il brand aziendale, ma personale, ossia l’insieme di tutto ciò che le persone dicono, provano e pensano sulla persona e sui servizi offerti nei vari contesti di vita; in sostanza come si viene percepiti dagli altri e come la propria personalità può essere gestita e considerata in rete come un brand.

Il personal branding si riferisce alla persona contrapponendosi all’idea di massa e sottolineando l’unicità dell’individuo. Allo scopo di sviluppare il proprio personal brand, è importante conoscere bene sé stessi per essere poi in grado di comunicare efficacemente con gli altri, al fine di sviluppare una prima impressione positiva; in questo modo si potranno influenzare a proprio favore le scelte delle persone con cui ognuno di noi interagisce.

Oggi i social media amplificano il potenziale del nostro brand personale: per la facilità di accesso, per la facilità di utilizzo e per la vastità di pubblico.

Ma cos’è il brand in generale?

Il brand è identità, ovvero il primario strumento di differenziazione tra offerte sul mercato; identità che si costruisce e si mantiene nel tempo attraverso un sistema di coerenze. Il brand non è il logo o il marchio, ma l’idea che risiede nella mente dei clienti; è quindi una peculiarità intangibile del prodotto, ma non per questo di poco valore.

L’obiettivo dell’attività di branding è quella di aumentare il valore percepito da parte del pubblico, garantendo contemporaneamente la qualità ed il prestigio di quanto offerto.

Allo stesso modo il personal branding è quel processo che crea nella mente dei possibili clienti l’idea che sul mercato non esista un’altra persona che possa fornire un servizio o un prodotto come noi. L’idea è quella di rappresentare un concetto unico e irripetibile nella mente del proprio cliente e di fare in modo che quando avrà una specifica esigenza saremo le sole persone a venirgli in mente. Il brand non è altro che un prodotto con una personalità e i concetti alla base del personal brand sono: rilevanza, esclusività e specificità.

 

[1]   Definizione disponibile all’indirizzo: http://it.wikipedia.org/wiki/Personal_branding

[2]   Centenaro L. primo personal branding strategist in Italia e fondatore del PersonalBranding.it. Sorchiotti T. digital e creative strategist, lavora sulla comunicazione online, sullo sviluppo del brand e sulla progettazione di ecosistemi digitali. Definizione tratta dalla pagina Personal Branding disponibile all’indirizzo: http://www.personalbranding.it/personal-branding-online/

 

 

© Il personal Branding – Marika Fantato

 

Il personal Branding Introduzione

Il personal Branding: Introduzione

La comunicazione interpersonale e virtuale attraverso i social network oggi, gioca un ruolo fondamentale per il proprio successo personale e professionale.

Viviamo in un’epoca in cui siamo in continua comunicazione con gli altri e le relazioni sono diventate sempre più delle connessioni online. La diffusione del web e dei social media ha reso indispensabile forti competenze e abilità comunicative per poter comunicare efficacemente.

Saper gestire la propria comunicazione, saper interagire con gli altri in modo efficace e riuscire a interloquire con tutti sono le chiavi per il successo professionale e il benessere personale.

Oggigiorno si vuole migliorare e perfezionare la capacità comunicativa attraverso una comunicazione strategica per agevolare il raggiungimento dei propri obiettivi, in quanto diventa sempre più necessario fare marketing di sé stessi differenziandosi dagli altri.

La strategia del Personal Brand nei social network si basa proprio sulla definizione dei nostri punti di forza e sul riuscirli a comunicare in  modo efficace ponendosi alcune domande: Cosa so fare? Come lo so fare? Quali sono i miei punti di forza e cosa offro? Perchè sono migliore o diverso dai miei concorrenti?

Il Personal Branding è un processo utilizzato da coloro che sono in cerca di lavoro o vogliono cambiare impiego, coloro che hanno una libera professione, coloro che vogliono portare il lavoro ad un livello di eccellenza e coloro che hanno un’attività professionale da sviluppare.

Le molteplici opportunità attualmente disponibili, sia per la trasmissione delle informazioni che per l’intermediazione e l’interazione, hanno dato vita all’era del Web 2.0, uno stato della continua evoluzione del World Wide Web.

L’uso dei social media per il lavoro e per la propria reputazione è ormai una necessità che non è più riservata solamente alle aziende, ma è soprattutto destinato agli individui: i veri protagonisti del web e della nostra epoca interconnessa.

Nell’economia digitale del web moderno, le interconnessioni tra le persone sono infinite, le informazioni disponibili sono globali e con un assortimento molto ampio, ma allo stesso tempo sono poco controllate o controllabili.

Internet oggi offre molte possibilità per ottimizzare e far conoscere il proprio brand: permette di controllare la diffusione della propria immagine online, grazie appositi strumenti; per tutelare la propria immagine e la propria brand identity e per ottenere contatti lavorativi, si attua un vero e proprio social networking dove ogni persona ha una propria rete sociale. Per social networking si intende il ricostruire e sviluppare, a scopo di business o di svago, una rete sociale online tramite gli strumenti digitali come i social, aggiungendo amici, clienti o colleghi e condividendo con loro svariate tipologie di informazioni. Un utente può compilare un suo profilo personale, aggiungere dei contenuti multimediali e decidere cosa condividere e come interagire con gli altri partecipanti alla rete, soprattutto in vista di una possibile assunzione lavorativa, in quanto i social network, come Facebook e Linkedin danno la possibilità di “diventare amico” di agenzie e aziende con le quali altrimenti non si sarebbe venuti a conoscenza nella vita offline.

Il personal branding quindi è la reputazione che noi ci creiamo sul web, tutto quello che facciamo con Internet, sui social network, sui forum e i valori che comunichiamo tramite il web e che servono a dare una bella immagine di noi online.

Oggi, infatti, oltre al curriculum classico, ci sono altre opportunità lavorative che ci offre la rete ovvero un curriculum in progress, che è ciò che la rete dice di noi e che viene verificato in quanto le nostre competenze e abilità possono venire effettivamente e realmente constatate.

Come dice Luigi Centenaro[1], il primo in Italia ad occuparsi di Personal Branding, ora il nostro curriculum è Google, in quanto digitando il nostro nome emerge tutto quello che abbiamo scritto, fatto, creato e condiviso in Rete e questo ha un effetto concreto su cosa e come la Rete parla di noi. Quindi, bisogna gestire bene il proprio profilo digitale, bisogna fare anche pulizia di stati e post incoerenti con i nostri valori perchè il web è una presentazione di noi stessi, soprattutto per quelle persone che lo usano come strumento lavorativo.

La decisione di affrontare nell’elaborato un tema pressochè nuovo e ancora poco conosciuto in Italia, come quello del Personal Branding, nasce dal desiderio di coniugare due interessi, il primo per le risorse umane, che deriva dalla mia precedente formazione triennale in Psicologia del lavoro e il secondo per il marketing, la comunicazione e i social media.

Nell’elaborato si vuole comprendere e successivamente analizzare il funzionamento in chiave teorica e pratica del fenomeno del Personal Branding.

Il capitolo uno e due approfondiscono il tema in chiave teorica: nel capitolo uno si cerca di spiegare in dettaglio cos’è il Personal Branding e quali vantaggi permette di raggiungere; nel secondo viene invece approfondito il personal brand in funzione ai social network che ci permettono di creare il brand di noi stessi.

L’ultimo capitolo analizza invece in chiave pratica tre esempi di Personal Branding: tre analisi qualitative di cui una ricerca sulle differenze di genere di un gruppo di 30 utenti di Linkedin per indagare le strategie utilizzate  per costruire, tutelare e promuovere la propria immagine e posizione professionale online; e due studi di caso sull’uso efficace dei social media di due donne e blogger italiane che si sono affermate in breve tempo nel panorama internazionale, Clio Make up e Chiara Ferragni. Queste due personalità si sono ampliamente confermate nel mondo online come nella vita offline e hanno avuto successo con il proprio brand personale, sinonimo del fatto che, se si rispettano le leggi base della Rete, qualsiasi business si può affermare con successo.

[1] Centenaro L., Sorchiotti T., Personal Branding. Promuovere se stessi online per creare nuove opportunità, Hoepli, 2013.

 

© Il personal Branding – Marika Fantato

 

L’economia, risultato della biologia umana

L’economia, risultato della biologia umana

 

Il normale valore della temperatura corporea umana è considerato di 36,5°. Questo valore ci farà sempre provare un generale stato di benessere.

..MA..

Se questo 36,5° aumenta vertiginosamente fino a raggiungere un 39,9°, non sorprendetevi se state male. Il nostro corpo sta vivendo una condizione molto distante dai valori di salute, e avvisa del pericolo con sensazioni di dolore.

Questo semplice esempio ci fa capire come il nostro organismo regoli in ogni istante un gran numero di condizioni, come la temperatura corporea, la quantità di ossigeno e di anidride carbonica, l’acidità del pH e la pressione arteriosa. Si tratta dei parametri che decidono il benessere o la sofferenza del nostro corpo tramite precisi valori. Questi valori devono ricadere sempre in un intervallo, detto omeostatico, per cui l’organismo risulta in uno stato di piena salute.

La naturale ricerca dei giusti intervalli biologici ha permesso alla specie di riconoscere i bisogni primari, come la fame, la sete, il riposo ecc. Questa ricerca ha da sempre utilizzato mezzi esterni per soddisfare le varie necessità e garantire l’omeostasi. Questi particolari strumenti sono offerti infatti dall’ambiente che ci circonda: là fuori abbiamo sempre trovato del cibo, dell’acqua e luoghi da vivere. Funziona così da milioni di anni; sia la singola cellula che gli organismi complessi hanno provveduto ai loro bisogni primari all’interno di un ambiente che offre la possibilità di farlo. Soprattutto, più qualcosa ci assicura la sopravvivenza più acquisisce importanza per la nostra vita.

Nel corso dell’evoluzione ogni specie animale è riuscita a distinguere le diverse necessità e perciò a dare loro differenti priorità. Antonio Damasio, celebre ricercatore e divulgatore scientifico, propone il concetto di valore biologico per definire il modo in cui si investe l’ambiente di importanza rispetto le esigenze interne. Un tipo di cibo, ad esempio, poteva assumere un valore biologico maggiore rispetto ad un altro in quanto più nutriente ed energetico. Si tratta di una consapevolezza, la quale ci rende istintivamente capaci di individuare all’esterno ciò che può assicurarci di star bene e vivere a lungo.

..MA..

Cosa c’entra l’economia con tutta questa roba biologica ed evoluzionistica!? Il parallelismo proposto sembrerà strano, eppure è affascinante.

Nel marketing, più un prodotto è difficile da ottenere più il suo prezzo sale. Si tratta di una semplice logica sull’importanza che un oggetto può assumere nell’interesse collettivo. L’attribuzione di un prezzo è la maniera simbolica per distinguere la quantità disponibile del prodotto e il bisogno di possederlo. Di solito, quando entriamo in un negozio diamo una rapida occhiata ai prodotti e di norma compriamo quelli più adatti ai nostri bisogni immediati. L’economia ha funzionato sempre così; un costante rapporto fra domanda e offerta, fra investimenti e risorse.

Allo stesso modo, anche la regolazione biologica ha sempre dimostrato un meccanismo molto simile: il più importante “valore” viene sempre attribuito agli aspetti ambientali che sono stati più utili per provvedere ai propri bisogni e “restare vivi”. Si può pertanto immaginare il valore biologico come la valuta ufficiale della sopravvivenza.

Tale meccanismo sembra inoltre riflettere molto bene una delle più complesse difese freudiane, l’Intellettualizzazione. Il termine si riferisce alla naturale propensione dell’uomo a teorizzare le proprie esperienze emotive nel difficile tentativo di controllarle. Ciò può significare che il bisogno umano di creare delle scienze sia stato sempre motivato dalla forte necessità di controllare le proprie emozioni. Esiste la fisica per conoscere meglio i terremoti o le glaciazioni; esiste la matematica per gestire meglio le quantità di viveri senza sprecarle; esiste l’ingegneria per avere rifugi sicuri e resistenti senza il timore che crollino; esiste la medicina per vivere sempre di più e non aver paura della morte.

Ecco, il valore biologico rende non solo l’economia, ma ogni dottrina scientifica, nient’altro che il risultato di un’inconscia intellettualizzazione dei primordiali bisogni della natura umana.

 

©  Porfiri Gian Luca

Conclusione

 Conclusione

 

Questa relazione nasce da un interesse personale verso le nuove tecniche di marketing ed il modo in cui i giovani contemporanei ne sono influenzati, da un punto di vista socio-psicologico.
Il marketing non convenzionale, con la propria originalità e dirompenza, risulta particolarmente efficace nei confronti della categoria sociale giovanile odierna, poiché agisce attraverso canali non tradizionali, come Internet, di cui i ragazzi sono oggi abituali fruitori. Tali tecniche stimolano la creatività, inoltre permettono di vivere esperienze gratificanti ed inusuali da integrare nella costruzione identitaria individuale; l’immagine di sé si caratterizza anche a partire dalla dimensione comunitaria offerta dalle comunità di marca, dal momento che oggi i brands si configurano non solo come prodotti di necessità primaria, ma anche in qualità di catalizzatori sociali. I giovani, quindi, si trovano a fare i conti con una postmodernità che propone diversità nei percorsi di vita individuali, ma anche la riscoperta dell’antico valore di legame tradizionale.
In un’era entropica quale quella contemporanea, le tecniche non convenzionali fanno sì che il profitto aziendale venga incrementato, di pari passo con la soddisfazione del cliente, contrapponendosi alla ormai nota inefficacia del marketing tradizionale, il quale si basa unicamente sulla ripetizione dei messaggi promozionali. Tuttavia, quest’ultimo continua a prevalere sui media classici (televisione, radio, affissione), facendo la fortuna del marketing non convenzionale, più innovativo ed “inaspettato”, anche alla luce del fatto che i giovani, in numero sempre maggiore, tendano ad ignorare i canali tradizionali, ad eccezione della radio.
In futuro, Internet diverrà la rete comunicativa dominante e ciò potrebbe dirsi positivo per i progressi del non convenzionale, ma gli esperti di marketing dovranno monitorare costantemente il contesto storico sociale per creare campagne ad esso adeguate, così che possano carpire l’attenzione dei consumatori, andando di pari passo con il cambiamento. Qualora ciò non avvenga, anche le tecniche che oggi possono sembrare innovative ed inefficaci perderanno il loro attuale potere, divenendo banali ed obsolete. I consumatori, che ora vengono colpiti dalla pubblicità non convenzionale mentre la loro advertising consciousness è inattiva, potrebbero non rispondere più positivamente a tali messaggi, assuefatti ad essa a causa del sovraffollamento mediatico. Ciò comporterebbe un maggior dispendio di risorse economiche da parte dei creatori delle campagne, ma che probabilmente non coinciderebbe con gli obiettivi prefissati, causando una mancata copertura delle spese.
In conclusione, si può affermare che il marketing non convenzionaleabbia notevoli potenzialità di influenzamento sulla categoria sociale dei giovani, ma necessiti di un continuo perfezionamento  per mantenere i suoi effetti, procedendo sincronicamente al cambiamento della società, per evitare un crollo analogo a quello degli strumenti appartenenti alla scuola del marketing tradizionale.

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Marketing non convenzionale e stili di consumo giovanili

Marketing non convenzionale e stili di consumo giovanili

 

Il concetto di giovinezza è una costruzione sociale, poiché non si tratta di una fase determinata dalla natura, ma può essere compresa solo se analizzata nel più ampio contesto storico-sociale contemporaneo, in quanto definita socioculturalmente. I processi di maturazione individuale, infatti, si intrecciano con le dinamiche del mutamento sociale, variando i modelli del passaggio alla vita adulta e i sistemi di stratificazione per età presenti nelle diverse società (Modell et al. 2001).  I giovani sono una categoria sociale prodotta da specifiche istituzioni, quali i sistemi di welfare, il mercato del lavoro e della famiglia. In Occidente, verso la metà del Novecento, si era raggiunto il “compromesso sociale di metà secolo” (Crouch, 2001) , in cui si ritrova il punto più avanzato dell’epoca moderna rispetto al tentativo di combinare autonomia individuale e coesione sociale, grazie alla specifica configurazione delle tre istituzioni sovracitatate: un mercato del lavoro capace di assicurare la piena occupazione maschile; una famiglia, tendenzialmente nucleare, contrassegnata da una forte divisione dei ruoli; un modello di sicurezza sociale basato sulla logica assicurativa del capofamiglia.
La postmodernità segna l’affermazione della globalizzazione in cui lo spazio sembra rimpicciolirsi sino a diventare villaggio globale e gli orizzonti temporali si accorciano.  Ci si confronta con una compressione spazio-temporale, in cui ogni sistema mondiale risulta interdipendente con gli altri. La globalizzazione va intesa come un insieme di flussi di persone (migrazioni, turismo globale), capitali (valorizzazione finanziaria ed instaurazione di insediamenti produttivi in contesti lontani), beni, tecnologie (l’evoluzione tecnologica è una delle cause soggiacenti il fenomeno), immagini ed idee (le risorse simboliche che i media mettono a disposizione si sono moltiplicate e modificano fortemente i modelli identitari di riferimento). Il sistema politico ha perso il proprio potere regolatore a fronte di un più ampio spettro di scelta individuale ed i media inducono ad una confusione tra realtà ed iperrealtà, in cui il processo di democratizzazione individuale porta le  persone ad immaginarsi possibilità un tempo non contemplabili, ma può facilmente indurre ad una crosbiana deprivazione relativa , in cui il confronto tra la propria vita e quella che si desidererebbe risulta indice di frustrazione.
La situazione è profondamente cambiata rispetto all’epoca d’oro del compromesso, in quanto si è immersi nella cosiddetta società dell’incertezza, in quella che Bauman definisce la modernità liquida  . Si assiste ad una deistituzionalizzazione della vita sociale, una crisi regolativa in cui le istituzioni subiscono un cambiamento del proprio ruolo: la famiglia conosce una diminuzione del tasso di nuzialità e fecondità, la divisione di ruoli per genere è meno rigida, le forme familiari si moltiplicano, insieme ad una crescita dell’instabilità dei rapporti. Il lavoro è caratterizzato da un’istituzionalizzazione della flessibilità, in quanto si riscontra una crescita della disoccupazione (il lavoro non è più assicurato come un tempo) e una forte precarietà; esso non si configura più come fonte di integrazione sociale, il reddito si fa discontinuo e scarseggia anche la remunerazione simbolica, poiché le biografie diventano frammentarie e minimamente dotate di senso. Il sistema del welfare, a fronte di un così elevato tasso di instabilità, non è in grado di prevedere i rischi, per cui la protezione sociale vive un forte momento di crisi.
In una tale situazione, la giovinezza può essere descritta come “fatto sociale intrinsecamente instabile”(Levi, Schmitt, 1996) . Non è facile individuarne i confini, che si presentano sfumati ed incerti: si definisce giovane un adolescente quanto un trentacinquenne che non ha ancora abbandonato il tetto familiare e non ha raggiunto l’indipendenza economica. I giovani d’oggi sono persone sempre possibili altrimenti, dato il carattere reversibile e frammentario dei percorsi di vita: non hanno un’identità definita, in quanto si trovano, nella maggior parte dei casi, in una fase di moratoria prolungata, in cui entra argutamente in gioco il marketing non convenzionale. La teoria di Marcia sugli stati d’identità  può chiarificare questo punto: lo studioso, operazionalizzando il modello d’identità di Erikson, giunge a definire quattro principali stati d’identità tramite una metodologia d’intervista atta a verificare il complessivo status d’identità in relazione ad importanti aspetti della vita giovanile. Esso è dato dalla particolare configurazione di due dimensioni: esplorazione ed impegno. Vi è l’identità realizzata, esito di un’esperienza esplorativa positiva, coniugata con un valido impegno; il blocco d’identità quando la pressione verso impegni seri è precoce fino al punto da non consentire la libera sperimentazione; la diffusione d’identità per il fatto che l’individuo non ha ancora seriamente scelto o riflettuto; la condizione di moratoria determina una fase di stallo e prolungamento dell’esplorazione e della valutazione, caratterizzata dal dubbio tra alternative diverse, all’interno delle quali non si riesce ad operare una scelta. Secondo questa interpretazione i giovani oggi si troverebbero nella situazione di moratoria, avendo davanti a sé miriadi di scelte possibili: diviene saliente il “fare esperienza” che si configura quasi come un gioco. I ragazzi sono soggetti a fads effimeri, mode cangianti, attraverso il primato di edonismo, narcisismo, primato dell’apparenza, amore per l’avventura, cosmopolitismo. Gli adolescenti prediligono luoghi di consumo sempre più simili al grande magazzino Topshop di Londra, in cui le diverse sezioni dedicate all’abbigliamento, al trucco, agli accessori corrispondono al sogno fast-styles. I giovani adulti supportano il crescente successo di fumetti e cartoni, sul modello “forever kid”; il gioco costituisce, secondo Morace , una modalità per affrontare, immaginare o sognare aldilà del modello preformativo consolidato. Il marketing non convenzionale comprende la richiesta, da parte del pubblico giovanile, di entertainment e ludico: al bene in sé deve affiancarsi un’esperienza più globale, che coinvolga i sensi, il cuore e la mente. Il consumatore si mette in scena attraverso i prodotti che acquista, sperimentando così se stesso (d’altra parte, la sperimentazione di se stessi è una delle motivazioni fondamentali dell’uomo). Anche il luogo di consumo acquista importanza, poiché deve essere capace di “renderci diversi nell’attraversarlo e di produrre un’esperienza dopo la quale non siamo più noi stessi”.  Pine e Gilmore  sostengono che l’economia stia entrando nell’era della produzione di esperienze che si originino dagli atti di acquisto e di consumo: esse possono coinvolgere diverse aree esistenziali, dall’intrattenimento, all’educazione, all’evasione, all’esperienza estetica. I bisogni vanno cedendo rapidamente il passo ai desideri, i quali si ravvisano alla base delle scelte di consumo; per Siri, infatti, “bisogna assumere come teorema fondamentale della psicologia dei consumi attuale il fatto che il rapporto con gli oggetti/beni/servizi di consumo è più chiaramente comprensibile a partire dalla logica del desiderio piuttosto che dalla logica del calcolo razionale o della coerenza valoriale.”   Il Sé postmoderno surclassa l’Io moderno ed i giovani vivono e compiono le loro scelte affidando  una notevole importanza alle emozioni, rapportandosi ai beni del mercato in termini polisensoriali, come sensation seekers. Le emozioni, una volta viste quali interferenza alla razionalità e proprie solamente del genere femminile, oggi giocano un ruolo molto importante nelle scelte di consumo e non si fa nulla per censurarle, in una società più evoluta ed in cui è stata riconosciuta, almeno sulla carta, la parità dei sessi. Con un riferimento alle basi biologiche neuronali, si può  affermare che nella postmodernità si sia verificato uno shift dall’emisfero sinistro (logico, deduttivo) a quello destro (emotivo,intuitivo), cosicchè le emozioni a coloritura positiva stimolano il consumo, mentre le negative rappresentano una forte resistenza ad esso. Come sostiene Fabris , nelle strategie di marca le emozioni stanno assumendo un ruolo del tutto prioritario, per cui il brand, per essere efficace, deve essere in grado di suscitare esperienze altamente emotive,  dialogando con le emozioni del consumatore con incisività ed immediatezza.
L’advertainment (neologismo formato da advertising ed entertainment) denota non solo una spiccata capacità di attrarre l’attenzione, ma anche di gratificarla, in una strategia win-win che porti vantaggi sia al consumatore che al brand. Un caso di advertainment è quello degli alternate reality games (ARG), giochi cross-mediali pensati soprattutto per un pubblico giovane che mescolano l’esperienza del videogioco con la vita reale in una sorta di caccia al tesoro che si muove tra  interattività ed intrattenimento, realtà e mondi virtuali, in modo intrinsecamente narrativo. Per esempio, Ricola ha proposto recentemente (da settembre 2005 a febbraio 2006) negli USA una campagna innovativa di questo tipo, “Ricola Thanks a Million”: si trattava di una caccia al tesoro in cui i partecipanti dovevano riuscire a catturare una testimonial inusuale per vincere sino a un milione di dollari. L’attore protagonista del gioco è stato infatti ingaggiato da Ricola per tossire nelle strade, nei parchi e presso i luoghi maggiormente affollati di numerose cittadine statunitensi. I cacciatori, iscritti al gioco tramite l’apposito sito web, dovevano, tramite le segnalazioni inviate loro per posta, recarsi nei luoghi per individuare il “tossitore misterioso” e, entro sessanta secondi dall’emissione del colpo di tosse, offrirgli una caramella Ricola.
I giovani postmoderni hanno, dunque, spazi inediti di libertà e scelta, ma che si esplicano all’interno di biografie oltremodo sperimentali e frammentate, tanto da indurre i sociologi a teorizzare il modello “yoyoisation” , in cui risulta evidente come la vita dei giovani sia strutturata sulla base  di frequenti “va e vieni”, secondo un andamento non troppo dissimile dai movimenti alternati di uno yoyo, con passaggi reversibili e prospettive incerte. Le biografie contemporanee sono fragili e costrette a confrontarsi con il difficile compito di attribuire senso e coerenza ad una molteplicità di esperienze accumulate in ambiti diversi della vita senza potersi affidare a modelli di riferimento solidi ed ampiamente legittimati . Si assiste ad un’individualizzazione delle forme di vita ed ad una convergenza che pare si sia verificata tra stili di vita ed attività del tempo libero, la quale appare una spia della rilevanza crescente assunta dalle tecniche di marketing nell’influenzare preferenze ed immaginari giovanili.
Il marketing esperienziale, come già accennato, mette in rilievo i valori edonistici e la soggettività dell’individuo. Il consumo scatena infatti sensazioni ed emozioni che, lungi dal rispondere semplicemente a dei bisogni, vanno a toccare l’ambito della ricerca identitaria del giovane consumatore. Il consumo diviene il vettore di costruzione identitaria dell’individuo, in una società in cui il lavoro (mancante e precario) non viene più utilizzato per descrivere e rappresentare se stessi, come  avveniva nella modernità. Il consumo è associato a particolari significati simbolici, i quali fanno sì che si consumi soprattutto per esistere e non soltanto per vivere. Poiché il giovane postmoderno si trova immerso in innumerevoli esperienze di consumo e si confronta con una serie di realtà spesso discordanti fra loro, dà vita ad un Sé fluido, capace di adattarsi alle varie situazioni e di fronteggiare l’incertezza: un Sé che si costituisce di innumerevoli diverse identità che  prendono corpo e vita quando si trovano nel loro contesto di riferimento, e che vengono messe da parte quando si passa a quello successivo. Il Sé non conosce contraddizione e non è guidato dal principio di non contraddizione o di realtà. I suoi diversi desideri ed impulsi (dipendenza ed autonomia, aggressività ed amore, dominio e ammirazione, invidia e gratitudine, essere piccoli ed essere grandi…) coesistono senza obbligare ad una scelta. L’individuo è quindi “cherry picking”, come lo definisce Fabris , in quanto tenta di prendere il meglio da tutto ciò che gli viene proposto. Viene alimentato un ideale di personalità multipla, di identità fungibili, una per ciascun contesto di esperienza individuale e sociale. Tale processo mostra il moltiplicarsi delle identità sociali del singolo individuo, in cui “la sperimentazione e l’immagazzinamento di una gamma estesa di sé possibili costituisce una risorsa decisiva per il successo sociale e per l’autostima personale” .
Un’evidente prova di tale tendenza è rappresentata dalla miriade di reality che ci propongono la televisione ed il Web e che attraggono non solo i giovani, ma molto spesso anche gli adulti. La moltiplicazione delle identità è una manifestazione in costante divenire, che l’individuo postmoderno costruisce in maniera attiva, prendendo spunto da tutto ciò che lo circonda in una “continua auto-etero rappresentazione della conoscenza di sé” . L’identità diviene così sfuggevole, indeterminata e flessibile. Si passa dal monocentrismo occupazionale al polimorfismo esistenziale, orientato alla moltiplicazione delle appartenenze, ai tanti mondi vitali cui si partecipa. Si trascorre da un’identificazione all’altra e da un sistema di riferimento all’altro senza mai farsi “ingabbiare” in un mondo dato. Le identità plurime sono la conseguenza di un’educazione maggiormente permissiva rispetto al passato e, inoltre, di un mondo globalizzato in cui la tecnologia ed i media imperano: si configurano come nuova agenzia di socializzazione e i loro messaggi ci propongono una infinità di modi di essere, facendo sì che ognuno di noi possa scegliere la propria condotta da un catalogo estremamente ricco. Il ruolo dell’immaginario, della fabulazione e della narrazione alimentate dai mass media, diviene strutturale e non è più confinato nella fase infantile o in spazi delimitati e funzionali nell’arco della quotidianità adulta, ma è una modalità sempre presente  che occupa nella nostra vita un posto simile al rapporto con la realtà. La persistenza di osmosi tra realtà e fantasia amplifica lo spazio del Sé (il Sé si avvale delle narrazioni fantastiche e della dimensione ludica più dell’Io, che ha bisogno del riscontro di verifica reale e della strutturazione di nessi logici sequenziali) e incide pesantemente sui percorsi di articolazione dell’identità. I modelli di identificazione comprendono, oltre ai genitori o all’entourage parentale, anche personaggi filmici, dei cartoons, idoli sportivi e così via. La lista delle possibili identità desiderabili si allarga, lasciando aperta la strada a proiezioni che soddisfano quasi tutti i nostri desideri di potenza. Le pulsioni e i sentimenti trovano nel ventaglio di offerta identificativa ogni tipo di possibilità espressiva, allentando il principio di coerenza e consentendo la sperimentazione, almeno vicaria e fantastica, di molteplici sé.
Tradizionalmente, i giovani hanno da sempre manifestato, rispetto ad altre fasce d’età, una maggiore omogeneità in atteggiamenti e comportamenti, configurandosi come soggetto collettivo portatore di una cultura comune, in cui la messa in discussione del mondo degli adulti rappresentava quasi un passaggio obbligato. Oggi, in un contesto preponderantemente individualista, risulta difficile ravvisare tratti distintivi della giovinezza: ogni individuo pare costruisca una biografia a sé, “trascinato” dalle numerose diverse esperienze della vita, per cui non è più lui stesso a fare moda, ma ne costituisce un bersaglio, come suggerisce Diamanti.  Vi è un minore protagonismo nel sociale da parte dei giovani: generano ancora un mercato di grandi proporzioni, ma abdicano dal ruolo di trend setters. Fabris , tuttavia, ritiene che si possano ancora riconoscere differenti stili di vita giovanili che riassumerebbero orientamenti, interessi, valori,  comportamenti distinti. In parte vengono ricalcati modelli già presenti nel mondo adulto, in parte si presentano scenari inediti. Analizzando una base campionaria tra i 15 ed i 24 anni d’età, si ottengono quattro differenti stili disposti lungo due assi principali, privato-sociale e apertura-chiusura.
I Gregari rappresentano il nucleo più consistente: si tratta della maggioranza silenziosa giovanile, quella che mostra la maggior affinità con il mondo adulto, in termini di valori e comportamenti espressi (si tratta si individui già inseriti nel mondo del lavoro). Accanto ad essi si collocano gli Impegnati, interpreti della cultura dell’impegno e della responsabilità, soprattutto di matrice cattolica. Sono accumunati ai precedenti dal legame verso i valori tradizionali, ma fortemente  orientati alla partecipazione sociale ed alla sobrietà dei consumi. Sul versante opposto rispetto a questi due stili di vita, troviamo gli Edonisti ed i Radicals: i primi (sui quali si focalizza prevalentemente l’attenzione del marketing postmoderno) sono gli eredi della cultura degli anni Ottanta nei suoi aspetti più eclatanti, in quanto sono orientati al successo, al divertimento e mossi da desideri di realizzazione personale, spesso di tipo materiale; i secondi sono portatori della cultura critica e contestataria degli anni Settanta, seppur priva di ideologia di riferimento: in essi prevale un atteggiamento di maggiore pragmatismo ed individualismo, sullo sfondo di un habitus mentale contrario alle tendenze di omologazione sociale e culturale.
E’ significativo osservare che giovani ed innovazione sociale non siano da considerarsi sinonimi come un tempo, ma anche la classificazione per stili di vita è ormai superata, seppur utile perché i marchi possano confezionare strategie d’attacco funzionali. I marketers si trovano a dover fronteggiare un individuo eclettico, versatile, attratto da oggetti e situazioni che spesso non hannonulla in comune e il più delle volte risultano in contrasto tra loro; emerge una figura  sempre più imprevedibile, che diventa ogni giorno sempre più difficile da capire ed interpretare. Da ciò pare evidente che non sia sufficiente una mera classificazione del target su base psicografica, poiché essa assume che la personalità degli individui mantenga una certa coerenza interna, un nucleo di preferenze e gusti cui corrisponderebbero determinate scelte di consumo. Dovendo fare i conti con un individuo la cui logica prevalente non è quella dell’aut… aut, ma quella dell’et…et , il marketing ha dovuto affinare sempre più le sue tecniche di segmentazione nel tempo, definendo nicchie di mercato via via più ristrette, fino ad arrivare ad una totale frammentazione del target. Il marketing degli anni Ottanta vede il passaggio “dal marketing di massa al marketing segmentato, a quello di nicchia, sino al passo successivo, il marketing individualizzato” .
Il marketing non convenzionale ha, tra i suoi cardini, una segmentazione per “momenti di vita”. Tale concetto, introdotto da Pallera (2004) , indica un approccio one to one in cui gli individui vengono considerati quali punti di contatto tra sistemi sociali: si possono individuare meeting points , aree comunicative distinguibili le une dalle altre, seppur dai confini incerti e mutevoli, che prendono origine da punti di connessione tra mercato, azienda e persone. Si tratta di una sorta di piazze e mercati postmoderni. Così può essere intercettato il movimento dinamico del nuovo consumatore, così da individuare la sua attitudine al consumo, in relazione al momento di vita che sta vivendo e condividendo con altre persone. Più soggetti, in un certo momento della loro esistenza, condividono uno “spazio sociale” fisico o virtuale, connotato spazio-temporalmente e che dà luogo ad una specifica situazione, connotata da particolari codici simbolici, regole sociali e attitudini al consumo. Analizzando tali touchpoints, l’azienda è in grado di individuare e raggiungere il proprio target, fruendo di un metodo di individuazione badato sull’hic et nunc, anziché sulle caratteristiche di personalità delle persone.
Il brand Nike, tipicamente rivolto a giovani consumatori, è riuscito abilmente a raggiungere un target di amplissime dimensioni, studiando ad hoc un touchpoint sul Web, in occasione della FIFA World Cup 2006. Fino ad allora, lo sponsor ufficiale delle maggiori manifestazioni sportive era stato Adidas, eterno marchio rivale, ma grazie all’abile campagna di buzz marketing denominata “Joga Bonito”(in riferimento al calcio giocato con classe e fairpaly), Nike è diventato market  leader.
L’ICFAI (Center for Management Research) riporta il caso , sottolineando che la campagna fosse mirata al cuore del gruppo dei consumatori della compagnia, giovani ragazzi, attraverso un media non convenzionale quale Internet. Venne sviluppato un canale TV online chiamato “JogaTV”, ma di grande rilevanza fu “Joga.com”, un sito creato per rappresentare un punto di incontro: si trattava di un networking website cui ci si poteva registrare per divenirne membri, accedendo a video, blogs, un motore di ricerca per ottenere liks sui propri idoli, con la possibilità di inserire le foto personali e scegliere la propria formazione calcistica dei sogni. I membri potevano accedere a chat e forum in cui avvenivano discussioni sul loro sport preferito e riguardo il brand Nike. I visitatori furono ben 760000 a settimana, molti di più di quelli del sito Adidas.com, eNike registrò un forte aumento delle vendite in tutto il mondo. Gli esperti di marketing del marchio sono riusciti ad avvicinare maggiormente al proprio prodotto un numero ancor più elevato di giovani, attraverso un canale media largamente utilizzato da questa categoria. Analizzando i loro momenti di vita ha compreso come agire per essere efficace sul mercato, carpendo gli interessi dei visitatori. Ha offerto loro un’esperienza unica, in un momento come quello dei Mondiali di calcio in cui l’interesse per tale sport raggiunge il picco, spesso anche tra coloro che abitualmente non lo seguono.
Nike è riuscita ad andare incontro agli interessi dei propri consumatori, non considerandoli come semplici “bersagli” da colpire attraverso uno stile persuasorio, ma prendendo atto dell’importanza di una multidirezionalità della comunicazione. Infatti, come insegna Andrea Semprini, “una marca è costituita dall’insieme dei discorsi tenuti si di essa dalla totalità dei soggetti (individuali e collettivi) coinvolti nella sua generazione”.  Il consumatore vuole essere riconosciuto nel proprio  ruolo, proponendo le proprie istanze al brand (talvolta anche attraverso azioni di boicottaggio) e configurandosi come prosumer. Così il marketing diviene societing: da una filosofia verso il mercato ad una filosofia con il mercato, in cui consumatori e fornitori collaborano all’intero processo. Si assiste ad un powershift, un’inversione di rapporti di forza tra aziende e consumatori, per cui questi ultimi chiedono maggior rispetto ed attenzione, si aspettano di essere coinvolti direttamente; essi sono in possesso di expertise: non più ingenui come un tempo, sono in grado di distinguere un prodotto di qualità da uno di qualità scarsa. A fronte di tale aumento di competenze percepite (vere o presunte), gli individui si mostrano più resistenti alle campagne pubblicitarie ed è compito delle aziende fare in modo che i consumatori partecipino attivamente alla co-costruzione dei significati dei prodotti.
Riemerge oggi, soprattutto tra i giovani, una passione creativa paragonabile, secondo Morace , a quella rinascimentale, dando vita a creazioni che acquistano significato nello scambio con altri consumatori e con le aziende. Internet è un terreno fertilissimo per l’uomo contemporaneo in vena di creatività, che grazie alla rete può sviluppare un rapporto di eguaglianza con l’azienda, creando e rielaborandone i prodotti. La creazione acquista dunque una dimensione comunitaria, attraverso le cosiddette “comunità di marchio”. Questi gruppi di progetto assumono oggi un ruolo paragonabile a quello della bottega rinascimentale, creando le condizioni di confronto e di condivisione che in passato esistevano nelle esperienze delle botteghe artigianali o dell’arte: per questo si parla spesso di Rinascimento 2.0, in cui acquista un’importanza centrale il design thinking del consumatore.
Nonostante la deriva individualistica della postmodernità, i giovani riscoprono il valore di legame attraverso tribù di marchio sul Web, emisferi ricchi di significati, valori e ideologie. L’individuo cerca nel consumo un mezzo diretto non solo per dare senso alla propria esistenza attraverso l’acquisizione di diverse identità, ma anche per legarsi agli altri, sviluppando rapporti in modo effimero. Le tribù sono costituite da individui non necessariamente omogenei tra di loro, ma interrelati mediante un’identica soggettività e capaci di svolgere azioni microsociali vissute intensamente. Si tratta di veri e propri gruppi emozionali che fungono da “gruppo di riferimento” per le scelte di consumo, attraverso un vero e proprio processo di confronto sociale sul Webo in luoghi fisici d’acquisto.
Le relazioni sono importanti per l’individuo sin dalla nascita e dai primi rapporti duali bambino-madre: la condivisione di esperienze è fondamentale per la maturazione psicologica e per la conoscenza di se stessi. Così, in adolescenza, acquista una notevole importanza, oltre al nucleo familiare, il gruppo dei pari, il quale diviene luogo insostituibile di confronto e di scambio. In tal modo si rafforzano i processi di identificazione, di differenziazione-individuazione e di  integrazione relazionale. L’entrata nei gruppi nasce dalla motivazione all’affiliazione, insita in ogni essere umano, che porta ad aggregarsi ad altri individui con lo scopo di ricevere da essi supporto, condivisione ed approvazione; tale motivazione si trasforma poi in bisogno all’appartenenza, il quale implica una serie di attività e riferimenti valoriali comuni congrui all’immagine che di se stessi hanno i membri. Le tribù del marchio si affiancano ai gruppi di pari per importanza,  poiché gli individui che ne fanno parte si autodefiniscono anche in base a questa appartenenza e trovano la propria identificazione nello stile di vita raccontato dal brand. Vengono a formarsi veri e propri gruppi, connotati, come già accennato, da senso di appartenenza : ciò dà vita alla possibilità che si verifichino anche comportamenti di favoritismo intragruppo e pregiudizio verso altre comunità di marchio , a causa della presenza di una interdipendenza positiva tra i membri; essa sarebbe dovuta  alla presenza di uno scopo positivo, che si configurerebbe nel sentimento forte per la prevalenza del proprio marchio su altri, poiché il marchio stesso contribuisce a definire l’identità dei partecipanti alla tribù.
Il marketing tribale, quindi, sfrutta le relazioni e le emozioni ad esse connesse per raggiungere il proprio scopo, grazie alla tensione odierna tra progresso e regresso, in cui la diffidenza istituzionale porta i consumatori alla riscoperta delle tradizioni, rituali e del valore di legame. Infatti, la comunità e le tribù fungono da metafora per tutti quei legami fra individui che il mercato ha eroso sotto la spinta della globalizzazione. Vi è un effettivo ritorno al desiderio di comunità, come  espressione dell’individuo postmoderno per uscire dal proprio isolamento: egli non è più solo, poiché si rende partecipe, realmente, immaginariamente o virtualmente di una o più comunità vaste ed informali.  Il marketing tribale si impegna a sostenere il legame sociale tra persone riunite attorno ad una passione e per questo utilizza anche riti specifici, i quali comprendono oggetti di culto, formule magiche, idoli, icone e luoghi di culto.
La concretezza e la tangibilità dei brands offerte dal marketing non convenzionale, favoriscono la fidelizzazione del cliente ad essi. Nel marketing tribale, per esempio, il senso di appartenenza ad una comunità di marchio ha ripercussioni sulla fedeltà del consumatore al marchio stesso. Di fatto, la fidelizzazione tribale permette di sviluppare un senso di fedeltà affettiva molto più forte di quanto si potrebbe ottenere attraverso la personalizzazione, che agisce invece sul versante  cognitivo.
Le esperienze non convenzionali cui sono sottoposti i giovani postmoderni agiscono sul loro Sé: si sente sempre più forte l’esigenza di un coinvolgimento anche emotivo del consumatore, che lo porti a sentirsi parte di un mondo di valori condivisi, o regalandogli un’esperienza da vivere e da ricordare. Così la fedeltà affettiva diventa l’obiettivo principale degli esperti di marketing, in un’era  in cui il consumo gioca un ruolo sempre più importante nella costruzione identitaria dell individuo, grazie ai significati ed alle emozioni generati da un prodotto: la fidelizzazione favorisce la definizione di se stessi, all’interno della caratterizzazione entropica del mondo odierno.

Analisi di due casi recenti di marketing non convenzionale: Paranormal Activity

 ANALISI DI DUE CASI RECENTI DI MARKETING NON CONVENZIONALE: PARANORMAL ACTIVITY

 

 

“Paranormal Activity”, film horror/thriller americano diretto dal semisconosciuto regista Oren Peli ed uscito nelle sale italiane ad inizio 2010, ha la particolarità di essere stato prodotto con appena undicimila dollari ed averne incassati centoquarantuno milioni. Sulla scia del predecessore del 1999 “The Blair Witch Project”, questa modesta produzione realizzata con metodi poco sofisticati (tutte le scene sono girate da una telecamera in mano ai due protagonisti, ed unici personaggi) ha ottenuto grande successo grazie ad un’abile operazione di marketing virale.

Il film di Peli, dopo essere stato mostrato allo statunitense “Screamfest Horror Film Festival” nel 2007, viene notato da alcuni critici ed arriva nelle mani di Steven Spielberg, il quale comprende le possibilità di business della pellicola e dà l’avvio alla campagna pubblicitaria. Nel settembre 2009 la Paramount decide di proiettare parte del film in alcuni colleges americani, registrando le espressioni del pubblico adolescente. Lo stesso test di screening avviene sul sito eventful.com, appositamente creato per l’occasione,  in cui vengono mostrati anche i filmati delle reazioni degli studenti ed in cui il fatto che alcuni escano dalla sala viene interpretato come in relazione al troppo spavento che la pellicola provocava.

Le visualizzazioni divengono sempre più numerose nell’arco di poco tempo ed agli utenti viene chiesto di segnalare i luoghi dove vorrebbero fosse proiettato il film, così che la casa produttrice portasse la pellicola nelle città che ne facessero maggiore richiesta. Si tratta di una strategia efficace: da un lato crea passaparola su un film che vuole imporsi come “fenomeno virale”, dall’altro protegge la Paramount dai rischi di lanciare in troppi cinema un film difficile da distribuire. E’ il mercato stesso a creare il fenomeno e richiedere il film.

Negli Stati Uniti il successo è enorme ed in Italia “Paranormal Activity” esce pochi mesi dopo, accompagnato da un trailer che lo descrive come “il film che ha terrorizzato l’America” ed alcune testate giornalistiche che ingigantiscono ulteriormente il fenomeno, parlando di svenimenti ed attacchi di panico del pubblico durante la visione. Viene sottolineato a più riprese che la pellicola sia stata notata da Spielberg e che il regista stesso si sia impressionato, creando così l’idea che si tratti veramente di un film spaventoso, poiché un grande nome lo aveva consigliato, lungi dal pensare che possa essere semplicemente parte di un’ottima strategia di marketing.
L’incasso italiano nei primi tra giorni di uscita è stato pari a ben 3,6 milioni di Euro. Un film inizialmente indirizzato ad un pubblico di nicchia, grazie al fenomeno word of mouth amplia enormemente il suo target, non solo agli appassionati giovani ed adulti del genere, ma anche fino a spettatori non abituali delle pellicole horror, ma che decidono di vederlo per conoscerne le potenzialità terrifiche.
Grazie alla visione iniziale del film da parte di un pubblico molto giovane, una diffusione capillare sul Web, un testimonial quale Spielberg, “Paranoemal Activity” , pellicola alquanto modesta sia dal punto di vista della trama sia per gli strumenti sfruttati per crearla, paradossalmente ha ottenuto un maggior successo di altri film dello stesso genere, migliori da molti punti di vista. La campagna di marketing virale ha comportato bassi costi ed ha sfruttato il canale alquanto redditizio del Web, anziché i canonici mezzi televisivi. I consumatori sono stati attratti da un prodotto che probabilmente non li avrebbe particolarmente incuriositi, se non fosse stato propagandato attraverso tale modalità: si sono fidati del consiglio degli altri, hanno voluto sfidare se stessi, assistendo ad uno spettacolo che avrebbe messo a dura prova il loro equilibrio psicologico. Si è trattato di un tipico processo virale, fatto di idee che infiammano, spingono, accendono altre idee, per osmosi o transitività cognitiva, e portano non alla sommatoria dei contributi, quanto piuttosto alla creazione di una reale entità collettiva infinitamente più ricca e trasversale rispetto all’originale. Ogni  contributo che nasce dall’appropriazione dell’idea base porta direzioni e prospettive nuove, modificazioni del seme originale che alimentano questo processo di crescita.

 

 

 

 

Analisi di due casi recenti di marketing non convenzionale: Diesel black friday

 ANALISI DI DUE CASI RECENTI DI MARKETING NON CONVENZIONALE: DIESEL BLACK FRIDAY

 

 
Figura 1- Diesel Black Money
Il weekend del 17 aprile 2009 Diesel, noto marchio di abbigliamento ed accessori per un target principalmente giovane, lancia una campagna pubblicitaria guerrilla, la quale prende le mosse dalla crisi economica che sta investendo l’Europa in quel periodo. Richiamandosi al venerdì “nero” della grande depressione del 1929, dà il via al Diesel Black Friday, in cui il brand si propone ai consumatori come il mezzo che li aiuterà a superare il black mood. L’evento viene fatto conoscere  prima che si verifichi, tramite una diffusione del passaparola su molti canali del Web. In un mondo senza più certezze, Diesel seguita il suo coraggioso ed innovativo rapporto con tutti i fans, offrendo loro i Diesel Black Money: banconote gratuite ed ovviamente illegali. Il black cash diviene la moneta ufficialeper acquistare i prodotti nei Diesel store e dà diritto ad un 30% di sconto su qualsiasi articolo. Può essere speso in 23 diversi paesi nel mondo ed in tutti i negozi Diesel, nell’on-line store ed in selezionati punti vendita in tutto il mondo. Le banconote illegali sono valide a partire dal venerdì nero e per tutto il fine settimana.
I pacchetti di valuta illegale si trovano, oltre che sul sito Diesel.com, in posti chiave ed in luoghi inattesi delle diverse città. Impiegati bancari, urlatori e direttori di banca,con tanto di vere scrivanie, appaiono nelle maggiori piazze internazionali ad offrire ironiche soluzioni per sopravvivere alla crisi, distribuire banconote illegali e concedere cospicui prestiti con mazzette di soldi ‘sporchi’. A Milano, in Piazza San Babila, 100.000 banconote illegali firmate Diesel piovono dal cielo all’urlo di uno stravagante banchiere che grida alla folla. Si occupa della campagna milanese l’agenzia di comunicazione non convenzionale “Piano B”.

 

 

 

Eventi in-store sostengono l’iniziativa: i Diesel Stores diventano affollati di fans che possono godere di un’esperienza davvero unica e partecipando al Diesel Black Friday danzando su versioni remixate di “Money Honey”, “Dirty Cash”, “Material Girl” e molto altro.
Al termine del fine settimana di offerte e promozioni i consumatori si dicono altamente soddisfatti, tanto che alcuni ammettono di aver dissipato quasi metà del loro stipendio per acquistare articoli Diesel.  L’operazione ha avuto grande successo, ha aumentato le entrate in casa Diesel ed ha accresciuto il prestigio del brand, sfruttando il meccanismo word of mouth.
Tale azione di marketing ha comportato bassi costi per l’azienda promotrice, facendo sì che si ottenesse il massimo della visibilità con il minimo degli investimenti. In un momento in cui i media tradizionali riempivano la mente dei cittadini di molti paesi con continui riferimenti alla recessione in cui ci si trovava, trasmissioni di protesta contro i governi per i bassi stipendi, Diesel ha proposto un’apparente soluzione, quasi in una metafora narrativa che richiama il deus ex machina mitico. E non si tratta di una soluzione qualsiasi, ma una soluzione che stimola il consumatore sul versante psicologico e sensoriale: gli si promette di entrare in un’atmosfera unica attraverso un’esperienza inusuale; Diesel sta dalla sua parte, è capace di risolvere i suoi problemi e lo fa attraverso la distribuzione gratuita di banconote illegali, proponendosi come marchio in controtendenza rispetto a quei malgoverni che avevano causato la crisi. Il consumatore, grazie all’aiuto di Diesel, può permettersi, almeno apparentemente, di acquistare ciò che prima non gli era accessibile. Si innesca un meccanismo in base al quale la fiducia del singolo non si riversa più nel complesso dell’economia, ma si concentra su un solo brand, costituendone la fortuna.
Diesel fa in modo che alle persone, se non già informate dell’evento, vengano tentate delle vere e proprie imboscate, mentre transitano per i più svariati motivi nelle piazze delle città: accade loro ciò che non si aspettano e che li coinvolge in un’esperienza nuova ed unica, quando la loro advertising consciousness non è attiva. Viene così data molta importanza al momento del sensing, in cui il consumatore prende coscienza del suo bisogno di acquisto e di come soddisfarlo, ma non in una logica di necessità effettiva, come avrebbe voluto il marketing tradizionale, bensì secondo un impulso a dover appropriarsi di un articolo Diesel che deriva da meccanismi irrazionali i quali richiamano la dimensione esperienziale e ludica dell’individuo. Ciò è favorito, come precedentemente accennato, dal vedere il brand quale una fonte di sicurezza in un periodo che si dimostra tutt’altro che tale. Durante e in seguito all’acquisto i consumatori tra loro si sentono parte di una comunità, in quanto beneficiari di un medesimo vantaggio nell’ottica di una sorta di lewiniano destino comune negativo imposto dalla crisi economica: ciò aumenta la probabilità che si sviluppino ancor più numerose collettività volte a sostenere il brand, magari anche attraverso la creazione di piattaforme Web in cui discutere delle novità proposte dal marchio.

 

 

 

I giovani oggi ed il rapporto con il consumo

 I GIOVANI OGGI ED IL RAPPORTO CON IL CONSUMO

 

Nella società attuale i cambiamenti avvengono con grande rapidità. Le tecnologie in continua evoluzione modificano senza sosta i modi di studiare , lavorare , produrre, comunicare. È una società nella quale tutto e tutti sono diventati più precari, nella quale aumenta di conseguenza l’insicurezza psicologica. La categoria sociale dei giovani si confronta in prima persona con questa realtà, poiché deve costruire il proprio futuro: si scontra con una logica darwiniana, per cui va avanti solo colui che sa padroneggiare il mutamento continuo, grazie ad un ampio numero di strumenti che gli permettono di affrontare in modo creativo il mondo che ci circonda. Il concetto di “gioventù” è profondamente cambiato rispetto all’epoca moderna: i confini della giovinezza sono sfumati, tanto che è giovane il teenager tanto quanto il giovane-adulto di trentacinque anni che non ha ancora abbandonato il tetto familiare per impossibilità economica causata da un lavoro precario. Ciò rappresenta il portato dell’erosione dei valori che imperavano nell’era dell’industrialesimo: la Chiesa non riesce più a comunicare il suo messaggio, in quanto sovrastata da concezioni filosofico-sociali che tendono a razionalizzare i comportamenti e a valorizzare l’autonomia dell’Io; la famiglia, con il venir meno del principio di autorità, non è più in grado di dare certezze, in quanto essa stessa presenta nella sua natura fratture che in passato non emergevano, poiché i bisogniindividuali erano secondari all’unità e al valore che la famiglia stessa rappresentava; la scuola non è più un mezzo di emancipazione, non ha più la diretta conseguenza del garantire un futuro migliore: il futuro è un vicolo buio e tale istituzione cessa di essere veicolo di conoscenze, tanto che nei giovani muore la finalizzazione cui questi mezzi erano deputati.
Ci si confronta con una realtà frammentata, in cui tutto si relativizza e ciascuno moltiplica codici e modalità di percepire e concepire il Sé e gli altri, in relazione allo specifico contesto in cui si trova. La mancanza di punti di riferimento si riversa nei giovani sotto forma di nuovi disturbi psicosociali, come anoressia, disturbo di personalità borderline e narcisistico, fobia sociale, panico, sindrome da shopping compulsivo, disturbi dell’umore, abuso di sostanze e, nella prima adolescenza, iperattività e bullismo. Si tenta di colmare il vuoto psicologico attraverso i consumi, i quali permettono di padroneggiare segni ed immagini a proprio piacimento: questi non servono più a soddisfare necessità materiali, ma bisogni psicologici e sociali, in quanto fungono da mezzi per comunicare il proprio status quo, affermarsi nella società. Nasce quello che Maffessoli  definisce l’homo aestheticus, ovvero un individuo che rivede le proprie priorità nell’ambito dei consumi, molto più propenso alla dimensione olistica, secondo cui il tutto è molto più della somma delle singole parti e l’aspetto funzionale diventa un prerequisito scontato e necessario. Ai bisogni si sostituisce il “fare esperienza”, una qualsiasi esperienza che porti ad una sperimentazione e maggio conoscenza di sé; a questo proposito, lo spostamento di molte strategie di comunicazione da parte dei brands, da tradizionali ad unconventional, testimonia come la presa di coscienza riguardo al diverso ‘percepito’ da parte dei giovani sia ormai radicata anche nei creativi e negli uffici marketing:  il marketing non convenzionale è una fucina di esperienze, consapevole del fatto che “oggi il consumatore desidera prodotti, comunicazioni e strategie di marketing che abbaglino i sensi, tocchino i cuori, stimolino la mente, permettano relazioni da incorporare nei proprio stili di vita. In poche parole desidera tutto ciò che gli procuri un’esperienza”.
La logica dell’estetica è accompagnata, come sottolinea Giunta,  dalla logica del desiderio, in cui le emozioni (nell’epoca moderna viste quale appannaggio del genere femminile) giocano un ruolo fondamentale: il Sé sopisce l’Io razionale, facendo sì che all’attenzione della memoria a breve termine si pongano soprattutto stimoli sensoriali dalla preponderante e forte valenza emozionale ed esperienza vicaria. Il desiderio ha, quindi, una natura non razionale, almeno non nel senso di una prevedibilità secondo criteri logici e di coerenza. La postmodernità porta tutti, giovani ed adulti, a rendere primarie modalità di pensiero che li caratterizzavano nei primi anni di vita, ovvero, utilizzando la prospettiva bowlbiana , quando l’Io non si era ancora strutturato grazie all’interiorizzazione delle figure d’attaccamento. Secondo Freud  il desiderio nasce nello spazio tra la meta rappresentata (o ricordata) e l’esperienza della frustrazione (mancanza attuale della meta). Il desiderio sessuale ha costituito in Freud il prototipo formale del desiderio, consentendogli di sottolineare la plasticità specifica delle pulsioni umane che consentono lo spostamento della meta originaria a mete diverse.
Così, secondo la Psicologia dei Consumi, gli oggetti di consumo, catalizzano su di sé tre valenze di meta e di sostituzione o allusione simbolica:
    • la valenza allusiva di meta degli affetti primari, irrazionale e inconscia;
    • la valenza di mezzi di auto rappresentazione e di rappresentazione sociale della nostra identità (l’identità è oggetto di desiderio in quanto metonimia dell’interesse del nostro essere e della sua armonia originaria);
    • la valenza di estensione del proprio Sé attraverso l’incorporazione di protesi che ampliano le possibilità fisiche, psichiche ed emotive.
Nell’attuale contesto socioculturale i modelli dominanti della cultura del consumo favoriscono attivamente le modalità del narcisismo, della identificazione e della simulazione.
I giovani si orientano nella società a partire dai propri istinti, in un mondo in cui l’apparenza fa da padrone. Alle forme di socialità tradizionali, gruppi di pari con cultura, valori ed abitudini comuni, si affiancano modalità nuove di confronto sociale, ovvero le comunità virtuali: qui l’ambiente è protetto, si fa e si esprime ciò che si vuole, senza temere il giudizio altrui, poiché lo schermo può essere spento in qualsivoglia momento. Spesso i giovani si sentono soli, poiché immersi in una società individualistica in cui tutto scorre con grande velocità: cercano, così, legami attraverso Internet. Il marketing non convenzionale sfrutta tale tendenza e fa in modo che il consumo divenga catalizzatore di rapporti sociali, configurandosi come potente strumento di aggregazione. Crea le comunità virtuali del consumo, in cui manca la prossimità fisica, ma è presente il senso di appartenenza, il condividere interessi considerati rilevanti, la possibilità continua di relazione tra i membri. Si tratta di veri e propri gruppi figli di una società postmoderna, in cui la fa da padrone il sentirsi membri di essi, essenza fondamentale di un gruppo secondo il pensiero di Tajfel.

 

 

 

 

 

Marketing Virale

 MARKETING VIRALE

 

Il viral marketing sfrutta i meccanismi di propagazione tipici dei virus, entità che si autoperpetuano diffondendosi in maniera esponenziale, generando vere e proprie epidemie.
Un’operazione di questo tipo identifica le persone che sono maggiormente interessate ad un determinato messaggio di marketing, veicola quest’ultimo in maniera rilevante per loro, rendendolo enjoyable o valuable, cosicchè esse siano incoraggiate a condividerlo con altri.
Il viral si basa sull’originalità di un’idea: qualcosa che, grazie alla propria natura o al contenuto, riesce ad espandersi molto velocemente in una data popolazione. Tramite il principio del “passaparola”, la conoscenza dell’idea si estende rapidamente.
Questo accade molto spesso nel caso di video dai contenuti particolari e divertenti, immessi su Youtube.com in modalità debrandizzata e che poi vengono marchiati a seguito dell’avvenuta ingente diffusione.

 

 

BUZZ MARKETING

 BUZZ MARKETING

 

Il buzz marketing include tecniche di marketing non convenzionale che sfruttano il Web 2.0 per entrare in contatto con i clienti attraverso una modalità strategicamente nuova.
Come noto, negli acquisti la fiducia è tutto: un consumatore sarà sempre più propenso ad acquistare un prodotto o un servizio segnalato in modo positivo da un amico o da un conoscente.
Allo stesso modo, ricevuto un giudizio negativo, la propensione all’acquisto diminuirà drasticamente.
Con Internet il concetto di amico, conoscente e fiducia si è esteso alle relazioni digitali instaurate grazie ai blogs.
Le aziende hanno cominciato a sfruttare tali strumenti sociali per condizionare l’atteggiamento dei consumatori nei confronti di alcuni prodotti o brands.
I blogs sono luoghi virtuali non governati dall’alto, scarsamente influenzati dall’opinione comune, voce alternativa all’informazione istituzionale e ufficiale: per tali motivi gli utenti sentono di potersi fidare, poiché non si sentono sottoposti ai circuiti di potere tradizionale (economico, politico, sociale).
Il buzz marketing, quindi, si serve delle communities virtuali per aumentare il numero ed il volume delle conversazioni riguardanti un prodotto o un servizio e, conseguentemente, per accrescere la notorietà e la buona reputazione di una marca.
Fa in modo che le persone abbiano motivo di parlare circa un prodotto, facilita le conversazioni che gli utenti attuano consapevolmente o inconsapevolmente.
L’obiettivo della strategia buzz consiste nel “parlare e far parlare”: il termine “buzz” è onomatopeico e richiama il ronzio delle api, poiché tali tecniche mirano al raggiungimento, nel minor tempo possibile, dello “sciame”, cioè un gruppo di utenti omogeneo per interessi rispetto ad un tema o una categoria di prodotti/servizi.
Il buzz marketing ha successo perché la trasmissione del messaggio avviene da pari a pari in maniera spontanea, rappresentando un consiglio di qualcuno che ti sta vicino; il punto chiave si riscontra nel fatto che queste conversazioni sono immerse nella quotidianità, per cui non vengono percepite alla stregua di tutti gli altri spazi pubblicitari.