Azioni vessatorie: Minacce, offese e umiliazioni

Azioni vessatorie: Minacce, offese e umiliazioni

Il lavoro ridicolizzato o esasperato, attribuisce alla persona uno stato di stress e di impotenza cui il vessato sente di non poter porre rimedio: ogni errore viene sovrastimato, ogni scusa è buona per richiamare e rimproverare il mobbizzato.

Questi sono i metodi “più fini” con cui un capo o l’azienda tentano di liberarsi di un dipendente, sono stratagemmi infimi difficilmente dimostrabili qualora la persona decida di intraprendere un’azione legale.

Non si può dire altrettanto delle minacce, che presentano frequenza 25, delle offese con frequenza 32 o delle umiliazioni con frequenza 37, che sortiscono un effetto diretto e maggiormente aggressivo: queste forme vessatorie assumono il nome di bullyng, un ulteriore sottocategoria di mobbing che Favretto (2005) definisce come un comportamento offensivo, intimidatorio e umiliante, derivante da un abuso di potere o di autorità, che giunge a minacciare psicologicamente un individuo o un gruppo di persone.

Minacce

“A questo punto vengo chiamata dal figlio del proprietario e ricevo forte minacce: ti consiglio di fare quello che ti dice mia sorella, se no scoppia una bomba atomica. Ti facciamo terra bruciata e non trovi lavoro, è importante per una persona agli inizi avere delle buone referenze.”

P 5 [226:228]

“In più di una occasione l’assistente in questione ha gridato con tono minaccioso, come fa  molto spesso “firma … ti ho detto di firmare …”, con in mano la lettera e spingendo la  sedia verso la mia scrivania. In un’altra occasione si è seduta nel mio ufficio e ha minacciato  di non andarsene fino a che non avessi firmato … E’ evidente che l’assistente non ritiene di  dovermi rispetto, come mai ? …”.

P 25 [148:152]

Offese 

“Vengo inoltre apostrofato con termini del tipo “defficiente” (mi si dice con due effe in quanto sinonimo di non efficiente, portatore di un deficit) o “mentecatto” (in questo caso significato etimologico del termine non mi è stato spiegato)”

P 18 [30:32]

“Durante le varie sfuriate che seguono conversazioni apparentemente normali con lo scopo di trovare un accordo tra di noi, mi viene detto che probabilmente mi dovrei fare aiutare da qualcuno (psichiatra) perché sono io la causa di litigi e che sono io a creare del malumore all’interno dell’ufficio. Che sono squilibrata e che tutti mi odiano in ufficio e che vanno da lui in privato a chiedere di allontanarmi e a suo dire “non mi sopportano”.”

P 26 [76:80]

Umiliazioni

“Umiliata e offesa gli ho chiesto di parlare a voce bassa perché mi vergognavo perché c’erano persone in negozio, clienti … cercavo di allontanarmi da lui, girando per il negozio ma lui mi inseguiva dovunque io andassi … gli ho chiesto: “per favore lasciami in pace … sto lavorando ci sono persone, ti prego mi vergogno, parliamone in altra sede …  Lui: “io non mi vergogno, questa è casa mia…””

P 24 [155:159]

“Ricordo anche scenate fatte urlando lungo i pontili di imbarco in presenza di colleghi di altre società agitandosi, alzando la voce e addirittura mettendomi in ridicolo.”

P 26 [54:56]

Questi processi di intimidazione distruggono la persona mobbizzata che si sente costantemente sotto attacco. Come si può osservare dalle quotations sopra riportate, la persona è personalmente presa di mira, privata della possibilità di reagire e resa ulteriormente debole.

 

“Il lavoro che (non) fa per te”. Il disagio nelle relazioni lavorative: un’indagine psicosociale sul territorio di Venezia –  © Maurizio Casanova